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venerdì 27 marzo 2020

#RipercorrendoInsieme: Centomila gavette di ghiaccio - Giulio Bedeschi

Amazon.it: Centomila gavette di ghiaccio - Bedeschi, Giulio - Libri
Centomila gavette di ghiaccio è un romanzo autobiografico di Giulio Bedeschi composto tra il 1945 ed il 1946 e pubblicato originalmente nel febbraio 1963 per l'editore Mursia. Nel 1964 vinse il Premio Bancarella
Composto tra il 1945 ed il 1946, Centomila gavette di ghiaccio venne rifiutato da sedici editori italiani prima che Mursia decidesse di pubblicarlo: da allora è diventato una delle opere culto della letteratura di guerra con circa tre milioni di copie vendute in 130 ristampe e nuove edizioni e traduzioni in francese, spagnolo, portoghese ed olandese. Nel 2011 l'editore ha annunciato che l'opera ha superato i quattro milioni e mezzo di copie vendute.
«La visibilità divenne nulla, come ciechi i marciatori continuarono a camminare affondando fino al ginocchio, piangendo, bestemmiando, con estrema fatica avanzando di trecento metri in mezz'ora. Come ad ogni notte ciascuno credeva di morire di sfinimento sulla neve, qualcuno veramente s'abbatteva e veniva ingoiato dalla mostruosa nemica, ma la colonna proseguì nel nero cuore della notte.»
(passaggio tratto da Centomila gavette di ghiaccio)
Centomila gavette di ghiaccio tratta dell'esperienza bellica del sottotenente medico Italo Serri (pseudonimo dietro il quale si cela Bedeschi stesso) durante la seconda guerra mondiale.
Inizialmente assegnato al II Battaglione dell'11º Reggimento fanteria inquadrato nella Divisione "Casale", Serri viene impiegato sul fronte greco-albanese a partire da metà marzo 1941. Partecipa all'avanzata finale fino al confine greco-albanese, dove assiste al termine della campagna. Successivamente, dopo un periodo di servizio presso un ospedaletto da campo, viene trasferito ad una batteria di artiglieria: la 13ª appartenente al Gruppo "Conegliano" del 3º Reggimento artiglieria da montagna inquadrato nella Divisione alpina "Julia".
Prima nota: durante la seconda guerra mondiale gli ufficiali medici erano assegnati di norma ai battaglioni, se non ai reggimenti, salvo che per le truppe alpine dove erano assegnati molto spesso alle compagnie/batterie. Questo perché esse operavano staccate ed isolate. Seconda nota: nel romanzo l'autore non nasconde la sua gioia di essere assegnato ad un reparto della Julia. Beninteso il romanzo fu scritto nel dopoguerra in clima di reducismo eroico, ma resta il fatto che la Julia si era guadagnata durante la Campagna di Grecia una enorme popolarità per i grandi sacrifici sostenuti.
Bedeschi scelse di utilizzare nomi fittizi per quasi tutti personaggi del libro e tutelare così la loro privacy
Bedeschi, quel maledetto inverno 1942-1943, ha curato tanti compagni di sventura in condizioni disperate senza disporre degli strumenti adatti, tra ferite purulente, cancrene, sangue. Ha sperimentato oltre mille chilometri di ritirata a piedi con la neve alta fino alle ginocchia. Accerchiati dai russi, tra ogni sorta di privazioni e assenza totale di riposo.
Cosi nasceva il canto.
Mormorato all'inizio, quasi sèguito di pensieri accorati, gonfio di contenuto respiro, lamento più che grido poiché mai dissociato dal rimpianto per coloro che non cantano più attorno ai fuochi. Un'infinita nostalgia di cose perdute piangeva fra gli alpini immobili e gravi; pareva allora veramente, nel tenebroso silenzio del bosco, che innanzi alle rosse lingue guizzanti le parole e le voci venissero a sciogliersi grondando sangue e lacrime. Ma non importava, si sentiva che il bosco era diventato la casa, per gli alpini; c'era qualcosa di loro, ormai, che s'era posato su ogni foglia e aveva reso accogliente la coltre muscosa.
La canzone si spegneva poi più tardi, nel silenzio, mentre i volti palpitavano d'ombre per la mobilità della fiamma, smemorati e intenti; ma una voce intonava una seconda canzone, allegra questa, e gli alpini cantando caricavano le pipe perché sapevano che la canzone, alla fine, lasciava fumare e ridere, del queto e saggio riso di gente che si contenta. Potevano ragliare allegri anche i muli se erano in vena, non avrebbero dato fastidio: nel bosco ormai si stava benone, si poteva lasciar spegnere tranquillamente il fuoco e infilarsi sotto la tenda, restarsene sdraiati in pace fino all'alba.

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