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venerdì 18 marzo 2022

..e mi domandi cosa è la guerra…Mercè Rodoreda - La piazza del Diamante

Mercè Rodoreda - La piazza del Diamante 
“E avvertii forte il trascorrere del tempo.
Non il tempo delle nuvole e del sole e della pioggia e il passare delle stelle ornamento della notte, non il tempo delle primavere dentro il tempo delle primavere e il tempo degli autunni dentro il tempo degli autunni, non quello che mette foglie sui rami o quello che le strappa via, non quello che increspa e leviga e colora i fiori, ma il tempo dentro di me, il tempo che non si vede e ci impasta. Quello che ruota e ruota in cuore e lo fa ruotare con sé, e ci va cambiando dentro e fuori e pazientemente ci va riducendo come saremo l’ultimo giorno.”
Quella sera, quando Quimet l’aveva invitata a ballare, in piazza del Diamante c’era la musica e tutto il quartiere danzava. Natàlia prima esita, ma poi, visto che lui è affascinante e deciso, gli prende la mano. Inizia così la loro storia d’amore, a cui seguirà il matrimonio e la nascita dei figli.
Una mattina, Quimet trova un colombo ferito sul davanzale. Ha un’idea, vuole allevarli per rivenderli e inizia a riempire il solaio di uccelli. I bambini li amano, Natàlia li detesta.
Poi arriva la guerra che distrugge la città e spazza via le loro semplici vite. Natàlia rimane a Barcellona e lotta per sfamare la famiglia, Quimet parte per il fronte per combattere i fascisti e, uno a uno, i colombi volano via.
Con una toccante intensità, Rodoreda più che raccontare suggerisce con la sua voce delicata i sentimenti, la sensibilità, la complessità dell’animo femminile.
La piazza del Diamante è uno dei più bei romanzi su Barcellona e sulla guerra civile spagnola, una pietra miliare della letteratura europea del Novecento. lanuovafrontiera.it
Postfazione di Claudia Durastanti 
Julieta era venuta in pasticceria apposta per dirmi che, prima della riffa per il mazzolino di fori, avrebbero sorteggiato le caffettiere, che lei aveva già visto: magnifche, bianche, con un’arancia dipinta, tagliata in due, che metteva in mostra i semi. Non avevo voglia di andare a ballare, e non avevo voglia nemmeno di uscire, perché avevo passato la giornata a vendere dolci, e le punte delle dita mi facevano male a via di stringere spaghini dorati e di fare nodi e cappi. E perché conoscevo Julieta: per lei la notte fniva all’alba, e dormire o non dormire le era indifferente. Ma ne avessi o no voglia, fnii con l’accompagnarla, perché ero fatta così, mi dispiaceva se qualcuno mi chiedeva una cosa e dovevo dire di no. Ero in bianco da capo a piedi: veste e sottoveste inamidate, scarpe come un sorso di latte, orecchini di pasta bianca, tre braccialetti a cerchio in stile con i pendenti, una borsetta bianca, di incerata, secondo Julieta, con la chiusura dorata a forma di conchiglietta.
exlibris20.it - La piazza del diamante La voce contenuta di Colometa affonda nell’angoscia, mai un grido, ma un dolore che preme su se stesso, che rimuove la notizia della morte del Quimet e la confonde con quella dell’ultimo colombo ed il tramonto ventoso di fine autunno. La ricerca di lavoro e cibo rivelano la misura esasperante del dolore alla piccola pasticciera d’un tempo: “E alla fine capii che cosa volevano dire quando dicevano che uno era di sughero… perché, di sughero lo ero io. Non perché lo fossi, ma perché lo diventai. E il cuore di neve”.
La fine della disperazione, progettata con un piano di morte, atroce quanto la distruzione della colombaia, rappresenta invece l’inversione della storia, quindi l’ultima parte del romanzo, e la risalita di Colometa alla vita. Un matrimonio affettuoso e la tranquillità dei giorni riportano la signora Natàlia alla comprensione finale di sé e alla capacità di riguardare indietro, senza paura di attraversare la strada. È la liberazione dell’urlo che si porta dentro da sempre, che esorbita dalle pagine del libro senza trionfo, ma sonoro e definitivo, lasciando il posto ad un unico sentimento: la tenerezza. Nancy De Benedetto

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