Pagine

Pagine II

#AnniNOVANTA

venerdì 28 agosto 2020

Medico senza frontiere. Ritratto di Carlo Urbani - Lucia Bellaspiga

MEDICO SENZA FRONTIERE<br>Ritratto di Carlo Urbani
Il 29 marzo 2003, all'ospedale di Bangkok, mori­va di SARS Carlo Urbani, il medico italiano che per primo aveva individuato sul campo il virus letale. Un anno dopo Lucia Bellaspiga raccontò, in un libro dal sapore del reportage giornalistico, le opere e i giorni dell'uomo, del medico, del cre­dente: l'impegno e il sorriso, i successi e le pro­ve, i sogni e le delusioni. A dieci anni dalla morte questa nuova edizione - ampliata con materiali inediti - consente di cogliere più chiaramente il dono fatto a tutti noi da Urbani, un medico che ha saputo andare al di là di tutte le frontiere, per donare interamente se stesso. «Se i libri di storia del futuro hanno pagine ancora bianche da ess­re riempite, dovranno parlare del medico Carlo Urbani» (Enzo Biagi).https://www.mondadoristore.it/
Medico senza frontiere. Ritratto di Carlo Urbani
pubblicato da Ancora 
CollanaProfili
Formato Brossura 
Pubblicato 08/03/2013
Pagine 192
Lingua Italiano
Isbn o codice id 9788851410995
Carlo Urbani, morto all’ospedale di Bangkok a 47 anni nel 2003, «scoprì» la Sars
il gesto di coraggio compiuto nel 2003 da Carlo Urbani, nel pieno dell’epidemia della Sars. Il medico marchigiano, infatti, è stato il primo a individuare sul campo la Sindrome respiratoria acuta severa, ma quella scoperta gli è costata la vita. Al momento della sua morte, Urbani operava in Asia da qualche anno, come esperto dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’area del Pacifico occidentale, dopo aver rifiutato un posto da primario all’ospedale di Macerata. Il 28 febbraio 2003 all’ospedale di Hanoi visita un paziente che non si riesce a curare e che sta infettando il personale sanitario. Intuita la gravità della malattia, molto contagiosa, Urbani allerta l’Oms, ma non riesce a portare in salvo se stesso. Muore all’ospedale di Bangkok, all’età di 47 anni. Il suo caso suscita un moto di ammirazione e cordoglio internazionale. https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/contagiati-donando-s-stessi-lesempio-dei-martiri-in-corsia 
CARLO URBANI, IL MEDICO CHE SCOPRÌ LA SARS
Il 29 marzo 2003, all’ospedale di Bangkok, moriva a causa della SARS Carlo Urbani, il medico italiano che per primo aveva individuato sul campo il virus letale.
Quella causata dal coronavirus non è la prima emergenza sanitaria globale che il mondo si trova a dover affrontare. Già nel 2003 proprio una forma di coronavirus fu responsabile dell’epidemia di SARS che causò oltre 8000 contagi e 775 morti nel mondo. In quell’occasione la pandemia fu scongiurata grazie al sacrificio del medico italiano Carlo Urbani, in Estremo Oriente per l’Oms.
Nei momenti di grave crisi sanitaria riponiamo le nostre speranze e aspettative nell’efficienza delle grandi organizzazioni come l’OMS o di quelle più piccole come gli ospedali e i presidi sanitari. Non sono però le organizzazioni che cambiano il nostro destino o che fanno la differenza, ma sono le persone che ci lavorano dentro, in particolare quelle si fanno carico di cambiare il corso degli eventi perché credono fino in fondo nell’importanza del loro lavoro.
Carlo Urbani era una di queste persone.

sabato 22 agosto 2020

"I giorni dell'abbandono" di Elena Ferrante

I giorni dell'abbandono - Film (2005) - MYmovies.it
I giorni dell'abbandono è un film del 2005 di Roberto Faenza, ambientato a Torino, tratto dall'omonimo romanzo di Elena Ferrante.
Olga, moglie e madre di due figli, viene abbandonata all'improvviso dal marito per una donna più giovane. Per lei inizia un periodo doloroso che la fa sprofondare nella disperazione, che la porta a non mangiare più e nemmeno a dormire. Ma l'incontro con un musicista solitario che vive nel suo stesso palazzo smuove qualcosa. Dopo una discesa all'inferno si può solo risalire. Olga vive un percorso interiore che la porta a capire che non stava impazzendo per l'amore perso, ma ha scoperto cosa significa perdere la dignità e l'essere imprigionata in un ruolo, ruolo di cui ti devi liberare per gustarti a pieno la vita.
Questo film è riconosciuto come d'interesse culturale nazionale dalla Direzione generale per il cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano, in base alla delibera ministeriale del 28 febbraio 2005.
Nomination Migliore canzone originale (I giorni dell'abbandono) di Goran Bregović
Miglior attrice in un film drammatico a Margherita Buy
Nomination Miglior regista di un film drammatico a Roberto Faenza
I giorni dell'abbandono - Elena Ferrante
«La voce rabbiosa, torrenziale di questa autrice è qualcosa di raro».
(The New York Times)
«Ho letto questo romanzo in un giorno, obbligandomi a prendere respiro come fa un nuotatore. I giorni dell’abbandono è stellare».
(Alice Sebold, autrice di Amabili resti) https://www.edizionieo.it/
Donne spezzate, donne rimesse assieme: 
"I giorni dell'abbandono" di Elena Ferrante
Autore: Carolina Pernigo
Testata: Critica Letteraria
Data: 24 ottobre 2018
È passato ormai diverso tempo, ma ce lo ricordiamo bene, I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante, anche se precede di molto il successo de L’amica geniale. Pubblicato nel 2002, dopo dieci anni di silenzio rispetto all’esordio letterario con L’amore molesto, questo romanzo durissimo è stato finalista al premio Viareggio, e Roberto Faenza ne ha tratto un film con Margherita Buy nei panni di Olga, Luca Zingaretti in quelli di Mario, e Goran Bregović nei panni del vicino musicista (non più Aldo, ma Daniel). Come sempre, però, il lungometraggio non è all’altezza della parola scritta, che si incide – profondamente, impietosamente – nell’anima del lettore – o ancor più della lettrice, che si sente chiamata in causa, sfiorata in punti nevralgici e dolenti di cui ignorava la sensibilità.
Avvalendosi di una struttura circolare facilmente individuabile, il testo si apre con l’irruzione di una dichiarazione d’abbandono nello scenario di un’apparente serenità familiare: una coppia sposata da quindici anni e con due figli, che conduce un’esistenza ordinaria, in cui il sentimento prevalente è la quiete, che viene ripetutamente citata fin dalle prime pagine.
Ad esempio la protagonista, Olga, ci dice che suo marito “era un uomo di sentimenti quieti” (p. 7), legato ai riti familiari; che avevano affrontato una precedente crisi discutendo, “ma quietamente” (p. 10), parlando “con calma e a bassa voce” (p. 11). A questo si aggiunge il fatto che Olga, di origini napoletane, fin dall’adolescenza desidera prendere le distanze dagli atteggiamenti sguaiati e rumorosi della sua famiglia d’origine, e si impone dunque una rigorosa autodisciplina, che la porta “a non avere mai fretta, a non correre” (p. 10), ma soprattutto ad “aspettare con pazienza che ogni emozione implodesse e prendesse la via della voce pacata, custodita in gola per non dare spettacolo di [sé]” (p. 11). Questo stato di pacatezza dominante viene squarciato bruscamente dall’inaspettata e improvvisa dichiarazione del marito, che in un pomeriggio qualunque di aprile annuncia dopo pranzo, con assoluta nonchalance, di voler lasciare la moglie. La quiete perduta verrà recuperata da Olga soltanto alla fine del romanzo, grazie a un incontro, imprevisto eppure intimamente atteso, che riporterà la situazione a uno stato di quiete assimilabile a quello iniziale. Nel mezzo, si assiste a un duplice movimento: una spirale discendente e autodistruttiva in cui, un po’ alla volta, sprofonda suo malgrado la protagonista fino a toccare i punti più bassi e degradati del proprio animo; e, successivamente, una spirale ascendente che si conclude con il ritorno alla normalità.

martedì 11 agosto 2020

Tre fratelli film del 1981 diretto da Francesco Rosi.

"IL TERZO FIGLIO" - UN RACCONTO DI ANDREJ PLATONOV
da questo racconto il regista Francesco Rosi trasse liberamente il film "Tre Fratelli" nel 1981
In una piccola città di provincia, il vecchiosua moglie muore e dà i telegrammi ai figli dell'Unione Sovietica (ce ne sono solo sei) per venire, aiutare con i funerali e salutare sua madre.
Innanzitutto, il figlio maggiore arriva sulla scena degli eventi,poi per lui e per tutti gli altri in breve tempo. Con il bambino arriva solo il terzo figlio - porta con sé una piccola figlia. Con grande abilità, ha descritto nella storia tutto ciò che riguarda la morte di sua madre, i Platonov. "Il terzo figlio" (il riassunto lo trasmette solo in parte) - in questo senso un lavoro un po 'inquietante.
Tre fratelli | Francesco Rosi (1981) – BY LORENZO CIOFANI
Tre fratelli è un film del 1981 diretto da Francesco Rosi.
Sceneggiato da Rosi e Tonino Guerra, è stato liberamente tratto dal racconto Il terzo figlio di Platonov. Ha ricevuto 5 David di Donatello e la nomination all'Oscar ed è stato presentato fuori concorso al 34º Festival di Cannes.
È la storia di tre fratelli originari del sud, divisi dalla differente età e da percorsi di vita molto diversi, che si ritrovano dopo molti anni al paese natio in occasione della morte della madre. Ognuno fa i conti con il proprio passato e si confronta-scontra con i fratelli e il padre, facendo un bilancio della propria vita. Sullo sfondo il malessere della cupa Italia dell'inizio degli anni ottanta, tra lotte operaie contro la restaurazione, disagio sociale e ultimi colpi di coda del terrorismo, che Rosi analizza attraverso lo scontro generazionale-familiare.
Il film è girato ed ambientato ad Altamura, Cassano delle Murge, Gravina in Puglia e in altre località della Murgia.
Alcune riprese sono state girate a Matera e sulla spiaggia di Nova Siri.
Riconoscimenti
Nomination Miglior film straniero (Italia)
C’è un momento di questo film che sospende i pensieri, che vale l’incanto raro di una emozione, che scuote le paure che abbiamo lasciato indietro nel tempo. È il racconto di un sogno. Che ha però una fisicità terribile, che rimanda alla memoria immagini spietate che abbiamo incontrato, lungo il cammino della nostra storia recente. È l’immagine di una morte, di un assassinio, di una vita spezzata. Quella di un magistrato che proietta nel sonno le sue paure, quelle di un uomo di giustizia della fine degli anni Settanta, impegnato contro il terrorismo. Walter Veltroni https://www.mymovies.it/

sabato 8 agosto 2020

Andrzej Szczypiorski - Notte, giorno e notte

Andrzej Szczypiorski
Notte, giorno e notte
Traduzione di Marco Binni
Fabula, 97
1996, pp. 281
isbn: 9788845912351
In copertina:
Aleksandr Rodcenko (1891-1956),
Atleta (1938)
Museo Puškin, Mosca
Szczypiorski è un maestro della narrazione polifonica, come già sanno i lettori della Bella signora Seidenman. E in questo romanzo si direbbe che abbia spinto la sua arte all’estremo: parlano molte voci – un ebreo addetto ai crematori di Auschwitz, un ufficiale nazista, un funzionario della polizia politica, un burocrate del Partito, un militare dei Servizi speciali sovietici, un perseguitato del regime comunista, una donna «bella come la Polonia», oltre a una folla quasi anonima di «figli delle tenebre» –, voci che rievocano quello che hanno visto, compiuto e subìto nei decenni cruciali fra l’insorgere della pestilenza nazista e il crollo dei regimi staliniani, anni che si presentano tutti come altrettante varianti dell’orrore. E dal magistrale intreccio delle loro febbrili, tormentose deposizioni, che si smentiscono e al tempo stesso si confermano a vicenda, pare a tratti di scorgere – per lampi e squarci, come dal finestrino di un treno lanciato nella tenebra del continente – un paesaggio di macerie, e insieme il profilo del tempo, non ancora concluso, in cui «vi era solo la Storia, insaziabile e sinistra».
Notte, giorno e notte è stato pubblicato per la prima volta nel 1991.
Accanto a me stava il nostro ospite, quel ferroviere di buon cuore che dava asilo ai sopravvissuti di Varsavia. Un uomo già avanti con gli anni, a quei tempi sicuramente pensionato, visto che superava la settantina. Guardavo il suo viso magro, smunto. La vita non doveva essere stata tenera con lui, e anche i tedeschi dovevano averlo pestato più di una volta, perché era stata questa la sorte degli uomini della sua generazione. Stava fermo e guardava quell’onda nera che avanzava, il viso immobile come una maschera funebre. Poi girò gli occhi verso la stanza, osservò i tedeschi. Avevano già le guance rasate, si riassettarono le divise, si ravviarono i capelli, indossarono lentamente e con cura quei loro enormi cappotti di pelle, poi si infilarono i guanti, i berretti e gli occhiali. Infine uscirono sulla soglia. Uno di loro, probabilmente il più elevato in grado, rivolgendosi al ferroviere – e forse a noi tutti – disse qualche parola, sicuramente un augurio o un saluto.
Lentamente andarono fino alla loro motocicletta, una grossa Zündapp con il sidecar, l’ufficiale più elevato in grado prese posto nel sidecar, gli altri due sulla motocicletta, il motore si avviò, fu come l’esplosione di una granata nella fragile aria gelata, una nuvoletta di fumo nero uscì dal tubo di scappamento, le ruote slittarono sulla neve scivolosa, gli altri avanzavano in massa, sempre più vicini, sempre più vicini, già distinguevo le facce, scure e larghe come padelle vecchie, un’innumerevole moltitudine di facce, macchie sotto gli elmetti, l’enorme bosco si avvicinava, i tedeschi partirono tranquillamente verso occidente, per la strada che portava alla città, solo la scia di fumo si stendeva ancora bassa sulla neve tra gli alberi, e allora quel mio ferroviere, con il viso sempre immobile, lo sguardo fisso al nero bosco di russi, disse qualcosa sul nostro futuro. Non so ripetere le sue parole. Forse parlò di Dio. O forse del sapone da barba.

mercoledì 5 agosto 2020

Cassandra Crossing (The Cassandra Crossing)

Cassandra Crossing di Robert Katz | Editore: Rizzoli
La storia comincia con un terrorista svedese in fuga dopo un attentato a un laboratorio batteriologico, che sale sul treno per Stoccolma ma è già contagiato e muore dopo poche ore. Le morti per asfissia si moltiplicano, le autorità sigillano il treno a Norimberga, lo blindano e lo dirottano verso un ex lager nazista in Polonia. L’unico a capire dove si andrà a parare è un piazzista ebreo che ha perso moglie e figli in un campo di concentramento. Invece l’eroe, che guarda caso si chiama Chamberlain, temporeggia molto prima di agire.
I passeggeri sono mandati a morire per decisione di un colonnello americano, che ha fatto i suoi calcoli probabilistici e accetta di mandare il treno sul pericolante attraversamento di Cassandra, presago di sventure. La catastrofe sarà attribuita a una défaillance dei sistemi informatici. Del colonnello americano si dirà che era solo una pedina in un ingranaggio gerarchico. I pochi superstiti cercheranno di raccontare l’accaduto, inascoltati.
L’apologo non potrebbe essere più chiaro, e la morale arriva per bocca di una dottoressa: «Una cosa abbiamo fatto tutti quanti: abbiamo innalzato la scienza al di sopra di tutto il resto…puntando poi ogni posta sulla tecnologia e sulle macchine, e sperando nel meglio. Ma questo non basta, colonnello».
Erano altri anni, gli anni in cui lo sterminio organizzato degli ebrei d’Europa gettava la sua ombra sul dominio tecnico-scientifico del mondo e sul prometeismo dell’uomo moderno e in cui il filosofo Günther Anders poteva accostare Auschwitz e Hiroshima dicendo che nell’era della tecnica siamo tutti figli di Eichmann. Ma erano anche anni in cui la ragionevolezza – se non proprio la ragione – sembrava ancora abitare nelle cancellerie, nei palazzi presidenziali e nelle altre sedi del potere.
Nel nostro carnevalesco mondo alla rovescia, dove il sovrano e il giullare si cambiano di posto, è proprio dai palazzi della politica che sentiamo dire che «la scienza da sola non basta: serve anche il buon Dio» (Salvini); e sono i grandi giornali della borghesia illuminata a dirci che con il coronavirus «stiamo vivendo lo sfaldamento dell’antropocentrismo – dell’arroganza antropocentrica» e che «siamo figli di Gea» (Michele Serra). Tutto sommato, è un bene che Cassandra Crossing non sia tornato di moda. https://www.linkiesta.it/2020/04/coronavirus-italia-libro-cassandra-crossing/
Cassandra Crossing (The Cassandra Crossing)
è un film del 1976 diretto da George Pan Cosmatos, tratto da un romanzo di Robert Katz, con protagonisti Sophia Loren e Richard Harris.
Interpreti e personaggi
Richard Harris: Jonathan Chamberlain
Sophia Loren: Jennifer Rispoli Chamberlain
Martin Sheen: Robert Navarro
Burt Lancaster: col. Mackenzie
Orenthal James Simpson: Haley
Ava Gardner: sig.ra Nicole Dressler
John Phillip Law: maggiore Stark
Ingrid Thulin: dott.ssa Stradner
Lionel Stander: Max
Lee Strasberg: Herman Kaplan
Lou Castel: il terrorista svedese
Angela Goodwin: infermiera
Thomas Hunter: capitano Scott
Ray Lovelock: Tom
Renzo Palmer: bigliettaio del treno
Alida Valli: signora Chadwick
Fausta Avelli: Caterina
Ann Turkel: Susan