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sabato 22 agosto 2020

"I giorni dell'abbandono" di Elena Ferrante

I giorni dell'abbandono - Film (2005) - MYmovies.it
I giorni dell'abbandono è un film del 2005 di Roberto Faenza, ambientato a Torino, tratto dall'omonimo romanzo di Elena Ferrante.
Olga, moglie e madre di due figli, viene abbandonata all'improvviso dal marito per una donna più giovane. Per lei inizia un periodo doloroso che la fa sprofondare nella disperazione, che la porta a non mangiare più e nemmeno a dormire. Ma l'incontro con un musicista solitario che vive nel suo stesso palazzo smuove qualcosa. Dopo una discesa all'inferno si può solo risalire. Olga vive un percorso interiore che la porta a capire che non stava impazzendo per l'amore perso, ma ha scoperto cosa significa perdere la dignità e l'essere imprigionata in un ruolo, ruolo di cui ti devi liberare per gustarti a pieno la vita.
Questo film è riconosciuto come d'interesse culturale nazionale dalla Direzione generale per il cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano, in base alla delibera ministeriale del 28 febbraio 2005.
Nomination Migliore canzone originale (I giorni dell'abbandono) di Goran Bregović
Miglior attrice in un film drammatico a Margherita Buy
Nomination Miglior regista di un film drammatico a Roberto Faenza
I giorni dell'abbandono - Elena Ferrante
«La voce rabbiosa, torrenziale di questa autrice è qualcosa di raro».
(The New York Times)
«Ho letto questo romanzo in un giorno, obbligandomi a prendere respiro come fa un nuotatore. I giorni dell’abbandono è stellare».
(Alice Sebold, autrice di Amabili resti) https://www.edizionieo.it/
Donne spezzate, donne rimesse assieme: 
"I giorni dell'abbandono" di Elena Ferrante
Autore: Carolina Pernigo
Testata: Critica Letteraria
Data: 24 ottobre 2018
È passato ormai diverso tempo, ma ce lo ricordiamo bene, I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante, anche se precede di molto il successo de L’amica geniale. Pubblicato nel 2002, dopo dieci anni di silenzio rispetto all’esordio letterario con L’amore molesto, questo romanzo durissimo è stato finalista al premio Viareggio, e Roberto Faenza ne ha tratto un film con Margherita Buy nei panni di Olga, Luca Zingaretti in quelli di Mario, e Goran Bregović nei panni del vicino musicista (non più Aldo, ma Daniel). Come sempre, però, il lungometraggio non è all’altezza della parola scritta, che si incide – profondamente, impietosamente – nell’anima del lettore – o ancor più della lettrice, che si sente chiamata in causa, sfiorata in punti nevralgici e dolenti di cui ignorava la sensibilità.
Avvalendosi di una struttura circolare facilmente individuabile, il testo si apre con l’irruzione di una dichiarazione d’abbandono nello scenario di un’apparente serenità familiare: una coppia sposata da quindici anni e con due figli, che conduce un’esistenza ordinaria, in cui il sentimento prevalente è la quiete, che viene ripetutamente citata fin dalle prime pagine.
Ad esempio la protagonista, Olga, ci dice che suo marito “era un uomo di sentimenti quieti” (p. 7), legato ai riti familiari; che avevano affrontato una precedente crisi discutendo, “ma quietamente” (p. 10), parlando “con calma e a bassa voce” (p. 11). A questo si aggiunge il fatto che Olga, di origini napoletane, fin dall’adolescenza desidera prendere le distanze dagli atteggiamenti sguaiati e rumorosi della sua famiglia d’origine, e si impone dunque una rigorosa autodisciplina, che la porta “a non avere mai fretta, a non correre” (p. 10), ma soprattutto ad “aspettare con pazienza che ogni emozione implodesse e prendesse la via della voce pacata, custodita in gola per non dare spettacolo di [sé]” (p. 11). Questo stato di pacatezza dominante viene squarciato bruscamente dall’inaspettata e improvvisa dichiarazione del marito, che in un pomeriggio qualunque di aprile annuncia dopo pranzo, con assoluta nonchalance, di voler lasciare la moglie. La quiete perduta verrà recuperata da Olga soltanto alla fine del romanzo, grazie a un incontro, imprevisto eppure intimamente atteso, che riporterà la situazione a uno stato di quiete assimilabile a quello iniziale. Nel mezzo, si assiste a un duplice movimento: una spirale discendente e autodistruttiva in cui, un po’ alla volta, sprofonda suo malgrado la protagonista fino a toccare i punti più bassi e degradati del proprio animo; e, successivamente, una spirale ascendente che si conclude con il ritorno alla normalità.

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