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venerdì 8 aprile 2022

#alTempoNelTempo - Il sacco di Roma ebbe inizio il 6 maggio 1527

Il sacco di Roma (saccheggio) ebbe inizio il 6 maggio 1527 a opera delle truppe imperiali di Carlo V d'Asburgo, composte principalmente da lanzichenecchi tedeschi, circa 14000, oltre che da 6000 soldati spagnoli e da un imprecisato numero di bande di italiani.
Le truppe imperiali, in prevalenza spagnoli sbarcati a Genova sotto la guida di Carlo III di Borbone, erano state impegnate nella seconda parte del 1526 nella pianura padana contro la lega di Cognac. L'imperatore aveva quindi fatto scendere a rinforzo dal Tirolo i lanzichenecchi alla guida dell'ormai vecchio von Frundsberg, i quali però erano stati contrastati con efficacia da Giovanni delle Bande Nere. Morto Giovanni e conquistata Milano, spagnoli e lanzichenecchi si riunirono a febbraio del 1527 a Piacenza.
I possedimenti veneziani a est erano protetti da Francesco Maria, duca di Urbino, che ben poco aveva fatto per impedire le azioni imperiali nelle terre del ducato di Milano. Spagnoli e lanzichenecchi, mal assortiti e mal disposti gli uni verso gli altri, decisero di muoversi congiuntamente verso sud a caccia di bottino, sotto il controllo parziale di Carlo III di Borbone, che poteva contare solo sul prestigio personale, visto che le truppe non vedevano il soldo da mesi.
Affamate e desiderose di preda, lasciarono indietro la poca artiglieria. Aggirata Firenze, considerata un obiettivo difficile in quanto ben difesa, a marce forzate e spinte dalla fame si diressero verso Roma. La città era praticamente sguarnita di difensori, in quanto papa Clemente VII per risparmiare il soldo aveva licenziato le truppe, convinto di poter trattare con Carlo V per cambiare nuovamente partito.
Il sacco di Roma ebbe un tragico bilancio, sia nei danni alle persone sia al patrimonio artistico. Circa 20000 cittadini furono uccisi, 10000 fuggirono, 30000 morirono per la peste portata dai lanzichenecchi. Clemente VII, rifugiatosi in Castel Sant'Angelo, dovette arrendersi e pagare 400000 ducati. I lanzichenecchi, di prevalente fede protestante, erano animati anche da fervore antipapale e furono responsabili delle maggiori crudeltà verso religiosi e religiose e dei danni agli edifici di culto.
L'evento segnò un momento importante delle lunghe guerre per il predominio in Europa tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Francia, alleato con lo Stato della Chiesa. La devastazione e l'occupazione della città di Roma sembrarono confermare simbolicamente il declino dell'Italia in balia degli eserciti stranieri e l'umiliazione della Chiesa cattolica impegnata a contrastare anche il movimento della Riforma luterana sviluppatosi in Germania.
La vicenda si inquadra nella più ampia cornice dei conflitti per la supremazia in Europa, tra gli Asburgo e i Valois, ovverosia tra Francesco I di Valois, Re di Francia e Carlo V d'Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero nonché Re di Spagna. Più precisamente si inserisce nel secondo conflitto che vide impegnati i due sovrani dal 1526 al 1529.
Il primo conflitto si era concluso con la sconfitta di Francesco I a Pavia e la sottoscrizione del trattato di Madrid, avvenuta nel mese di gennaio del 1526, a seguito della quale il sovrano francese dovette rinunciare, tra l'altro, a ogni suo diritto sull'Italia e restituire la Borgogna agli Asburgo.
Nel maggio successivo, però, papa Clemente VII (al secolo Giulio de' Medici), sfruttando l'insoddisfazione del Valois per aver dovuto sottoscrivere un trattato contenente clausole estremamente mortificanti per la Francia, si rese promotore di una Lega anti-imperiale, la cosiddetta Santa Lega di Cognac.
In sostanza, papa Clemente col re di Francia aveva condiviso il timore che il sovrano asburgico, una volta impossessatosi dell'Italia settentrionale e avendo già nelle sue mani l'intera Italia meridionale come eredità spagnola, potesse essere indotto a unificare tutti gli Stati della penisola sotto un unico scettro, a danno dello Stato Pontificio, che rischiava di rimanere isolato e venire fagocitato.
I Lanzichenecchi di Frundsberg, circa 14000 miliziani mercenari arruolati principalmente a Bolzano e Merano e seguiti dalle loro 3000 donne, lasciarono Trento il 12 novembre 1526 affiancati da altri 4000 mercenari provenienti da Cremona. Marciarono inizialmente in direzione della Valle dell'Adige per confondere le milizie veneziane per poi dirigersi improvvisamente verso la Valle del Chiese accampandosi a Lodrone; qui tuttavia, vista l'impossibilità di superare la Rocca d'Anfo presidiata dai veneziani, dopo aver percorso difficili strade di montagna in Val Vestino ed essere giunti nella Valle Sabbia a Vobarno, le milizie tedesche non riuscirono a superare un primo sbarramento delle truppe veneziane alla Corona di Roè Volciano. Timoroso del sopraggiungere delle truppe della Lega stanziate nel milanese e che erano costituite da circa 35000 soldati, Frundsberg ritenne impossibile sfondare verso Brescia. Quindi, sceso a Gavardo, deviò la marcia dei suoi lanzichenecchi in direzione di Mantova dove intendeva attraversare il Po.
Le milizie imperiali superarono alcune deboli resistenze a Goito, Lonato e Solferino e quindi raggiunsero Rivalta; il 25 novembre 1526, i lanzichenecchi di Frundsberg, anche grazie al tradimento dei Signori di Ferrara e di Mantova (di cui sotto), sconfissero nella battaglia di Governolo le truppe di Giovanni dalle Bande Nere che tentavano di sbarrare loro il passo nei pressi di un ponte sul Mincio; lo stesso condottiero italiano, che nei giorni precedenti aveva cercato di rallentare l'avanzata nemica con una serie di incursioni di disturbo della sua cavalleria leggera, venne gravemente ferito da un colpo di falconetto morendo dopo alcuni giorni per le conseguenze della ferita[7]. Le milizie tedesche quindi poterono passare il Po il 28 novembre 1526 vicino a Ostiglia e proseguirono l'avanzata; nei giorni seguenti vennero rinforzati da duecento uomini condotti da Filiberto di Chalons principe d'Orange e da cinquecento archibugieri italiani al comando di Niccolò Gonzaga
Il sacco causò danni incalcolabili al patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III:
«Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furono le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.»
Sacco di Roma, incisione di Maarten van Heemskerck.
Al tempo del "Sacco", la città di Roma contava, secondo il censimento pontificio realizzato tra la fine del 1526 e l'inizio del 1527, 55035 abitanti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina.
Una tale esigua popolazione era difesa da circa 4 000 uomini in armi e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice.
Le secolari carenze manutentive all'antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria e dalla peste bubbonica. L'improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione quanto gli occupanti.
Alla fine di quell'anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20 000 morti causate dalle violenze o dalle malattie. Tra le vittime si annoverano anche alti prelati, come il cardinale Cristoforo Numai da Forlì, che morì pochi mesi dopo per le sofferenze patite durante il saccheggio. Come in molti altri luoghi dell'Europa a causa delle guerre di religione, si determinò un periodo di povertà nella Roma del XVI secolo.
Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi a un saccheggio così efferato e per così lungo tempo, cioè per circa dieci mesi, risiedono nella frustrazione per una campagna militare fino ad allora deludente e, soprattutto, nell'acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutriva per la Chiesa cattolica.
Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per "cinquine". Quando però il comandante delle truppe non disponeva di denaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto "sacco" della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione.
Nel caso specifico, i lanzichenecchi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo.
Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda a un'avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per loro abbandonarsi per un tempo così lungo al saccheggio della non più eterna Roma.
Oltre che per la storia della città di Roma, il sacco del 1527 ha avuto una valenza epocale tanto che Bertrand Russell e altri studiosi indicano il 6 maggio 1527 come la data simbolica in cui porre la fine del Rinascimento.wikipedia.org - Sacco_di_Roma_(1527)

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