Lettere della giovinezza
Dal carcere 1935-1943
Curatore: Federica Montevecchi
Editore: Einaudi
Collana: Gli struzzi
Anno edizione: 1998
In commercio dal: 1 gennaio 1996
Pagine: 1111 p.
EAN: 9788806148409
Mentre tutto il mondo cambiava attraverso guerre, stermini e odi razziali, Foa affermava con le sue lettere, settimana dopo settimana, la volontà di dare comunque un senso alla propria vita e di costruire un futuro. E il carcere consentiva al giovanissimo cospiratore torinese di «Giustizia e Libertà» di approfondire la propria formazione, soprattutto attraverso lo studio con uomini come Riccardo Bauer e Ernesto Rossi. Fu un esercizio della mente come scelta radicale e assoluta: piú stretta era la costrizione, piú determinata la voglia di provare nuovi percorsi, Nelle lettere del 1938-39 i commenti sulla campagna razziale italiana sono una singolare eccezione al silenzio imposto agli ebrei di quel tempo. Paradossalmente la sola libertà di giudizio venne dal fondo di un carcere. Nell’insieme queste lettere costituiscono un sorprendente documento, ricco di spunti sempre sorretti da un linguaggio privo di retorica: la loro lettura viene a riempire di nuove ragioni il delicato passaggio dell’ltalia dal fascismo alla democrazia. Molte delle lettere di Foa subirono l’operato della censura. Alcuni passi resi illeggibili dall’inchiostro coprente sono stati per la prima volta letti in occasione di questa edizione grazie ad apparecchi in dotazione alla Polizia scientifica. Un atto certamente simbolico di necessaria riparazione. https://www.einaudi.it/
Vittorio Foa è stato un politico e giornalista italiano. È considerato uno dei Padri fondatori della Repubblica.
Scrive il 29 febbraio 1936 subito dopo la condanna: "La mia mentalità giuridica non riesce in alcun modo a giustificare la sentenza che sotto ogni aspetto di diritto e di fatto è errata; per quel che mi riguarda modestia impone che io riconosca di non avere meritato in alcun modo la particolare qualifica di cui hanno voluto gratificarmi" .Si riferisce alla pena aggravata perché considerato un dirigente torinese di Giustizia e libertà. E incoraggiando i genitori: "Saranno molto meno di quindici gli anni che passerò in carcere: ne ho l'incrollabile certezza.Perciò state tranquilli come io sono". E, ancora: "Ho fatto un ottimo viaggio, in uno scompartimento piccolo piccolo per me solo, ché in due non ci si sarebbe stati", scrive il 7 giugno 1935 a seguito del trasferimento a Roma.L'accenno rievoca i particolari scompartimenti per detenuti "in traduzione", vere e proprie bare, oggi scomparsi.
Fra gli aspetti del modo di vivere il carcere colpisce, tra gli altri, la determinazione allo studio, tenacemente perseguita, non senza ragione. "Studiavamo per capire il mondo, essere all'altezza dei compiti futuri", scrive Foa nella presentazione. Ma anche questa attività trovava ostacoli. Non era consentito avere carta per appunti. Per questo, spesso, la lettera ai famigliari si interrompeva: "E adesso tollerate qualche appunto". E seguivano, nel pur già limitato spazio disponibile (tutto in un solo foglio!), le annotazioni sugli argomenti più vari e complessi studiati. Una riprova della volontà di vivere quell'esperienza non casuale di privazione della libertà con la volontà di essere comunque presente e partecipe alla realtà sociale. Partendo magari dall'esame di problemi del passato. Ai genitori il 28 maggio 1937: "Vi esorto a leggere un bel libro 'L'affare Dreyfus' [di] Bruno Revel (...) L'impressione dominante che resta, a libro finito, è quella della bellezza di una lotta in cui gli ideali sonanti di verità e di giustizia (...) presero corpo e forma in una concreta battaglia politica". recensione di Guidetti Serra, B., L'Indice 1998, n. 9 https://www.ibs.it
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