Nel 1957 la Cassa per il Mezzogiorno inaugurò la politica di intervento diretto alla creazione di economie industriali, che diede vita al polo siderurgico di Taranto, alla raffineria Anic di Gela, agli stabilimenti chimici di Cagliari, Sassari, Porto Torres e all'Italsider di Bagnoli, ma erano interventi tardivi per pensare di poter riequilibrare i rapporti di forza tra Nord e Sud. Un'ampia fetta di italiani non si concedeva vacanze, né pranzi fuori, né altri "capricci". L'automobile era un lusso di pochi, la televisione si guardava al bar. Ancora nel 1960, al Sud appena il 15 per cento della popolazione possedeva un frigorifero.
Milioni di uomini e donne, insomma, non sapevano come mettere insieme il pranzo con la cena. E perciò emigravano. Su treni che si chiamavano Freccia del Sud, Treno del Sole, Treno dell'Etna, Freccia delle Puglie, Espresso del Levante. "Nelle stazioni," diceva alla radio il segretario del Pci Palmiro Togliatti, con voce nasale, "mi colpisce la folla di gente disagiata, povera, con le grandi valigie sdrucite tenute insieme da un giro di spago: gente che va in cerca del lavoro, spesso alla ventura in terra straniera."
La foto di copertina del libro Gli italiani in Svizzerra, a cura di Ernst Halter, ritrae un gruppo di emigrati alla stazione di Zurigo nel 1953. Si ammassano sul binario per salire sul treno che li porterà in Italia per votare. Le famose elezioni della legge truffa. Hanno i capelli impomatati di gel. Indossano giacca e cravatta, perché il viaggio impone un decoro, un codice di eleganza. Sgomitano. Qualcuno ha le valigie sulle spalle. È una gara a chi sale per primo sul vagone, per assicurarsi un posto a sedere. La lotta per conquistarsi uno strapuntino nella società del benessere comincia su quei treni sovraffollati.
Alla metà degli anni sessanta vivono in Svizzera più di 500mila italiani. Quando scendono alle stazioni dai nomi ostici, Winterthur, Schaffhausen, Dietikon, posano per terra un solo bagaglio: tutta la loro vita è stipata in quella valigia.
- Cacciateli! di Concetto Vecchio
- Marchio:
- FELTRINELLI
- Data d’uscita:
- Maggio, 2019
- Collana:
- Storie
- Pagine:
- 192
- Prezzo:
- 18,00€
- ISBN:
- 9788807111525
- Genere:
- Saggistica
2020 - Premio Estense - Vincitore ex aequo
James Schwarzenbach, cugino della scrittrice Annemarie Schwarzenbach, è un editore colto e raffinato di Zurigo. La sua è una delle famiglie industriali più ricche della Svizzera. A metà degli anni sessanta entra a sorpresa in Parlamento a Berna, unico deputato del partito di estrema destra Nationale Aktion. Come suo primo atto promuove un referendum per espellere dal Paese trecentomila stranieri, perlopiù italiani. È l’inizio di una campagna di odio contro i nostri emigrati che durerà anni, e che sfocerà nel voto del 7 giugno 1970, quando Schwarzenbach, solo contro tutti, perderà la sua sfida solitaria per un pelo.
Com’è stato possibile? Cosa ci dice del presente questa storia dimenticata? E come si spiega il successo della propaganda xenofoba, posto che la Svizzera dal 1962 al 1974 ha un tasso di disoccupazione inesistente e sono proprio i nostri lavoratori, richiamati in massa dal boom economico, a proiettare il Paese in un benessere che non ha eguali nel mondo?
Eppure Schwarzenbach, a capo del primo partito anti-stranieri d’Europa, con toni e parole d’ordine che sembrano usciti dall’odierna retorica populista, fa presa su vasti strati della popolazione spaesata dalla modernizzazione, dalle trasformazioni economiche e sociali e dal ’68. Fiuta le insicurezze identitarie e le esaspera. “Svizzeri svegliatevi! Prima gli svizzeri!” sono i suoi slogan, mentre gli annunci immobiliari specificano: “Non si affitta a cani e italiani”.
In una serrata inchiesta fra racconto e giornalismo, Concetto Vecchio fa rivivere la stagione dell’emigrazione di massa, quando dalle campagne del Meridione e dalle montagne del Nord si andava in cerca di fortuna all’estero. E in un viaggio nella memoria collettiva del nostro Paese, nell’Italia povera del dopoguerra, raccoglie le voci degli emigrati di allora e sottrae all’oblio una storia di ordinario razzismo di cui i nostri connazionali furono vittime.
“Sono troppi, ci rubano i posti migliori, lavorano per pochi soldi, occupano i letti degli ospedali, sono rumorosi, non si lavano.”
Nel 1970 viene indetto in Svizzera il primo referendum contro gli stranieri nella storia d’Europa. E gli stranieri eravamo noi.
Concetto Vecchio (1970) è giornalista nella redazione politica di “Repubblica”. Vive a Roma. Ha scritto Vietato obbedire (2005), un saggio sul ’68 alla facoltà di Sociologia di Trento, con cui ha vinto il premio Capalbio e il premio Pannunzio; Ali di piombo (2007), sul movimento del ’77 e il delitto Casalegno; Giovani e belli (2009). Con Feltrinelli ha pubblicato Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano (2017) e
Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi (2019). INFO Concetto Vecchio, la sua è un'inchiesta ambientata nel passato, ma dal forte legame con il presente. Di cosa si tratta?
Racconto la campagna d'odio che animò un populista svizzero (che fu il primo populista d'Europa e che si chiamava James Schwarzenbach) e del referendum che indisse contro gli stranieri: 300.000 stranieri "da cacciare dalla Svizzera", che erano quasi tutti italiani. Se si studiano le parole di questa campagna referendaria si nota che sono le parole d'ordine dell'Italia sovranista di oggi contro gli immigrati. Sono le stesse: c'è una regolarità impressionante, ci sono sempre degli ultimi con cui prendersela. In quel tempo (ma l'abbiamo dimenticato perché è in corso un'operazione sofisticata del potere di rimozione della memoria e della storia, come dimostra anche l'eliminazione dell'esame di storia alla maturità) anche noi eravamo gli ultimi e ci trattavano da ultimi, come noi spesso oggi trattiamo gli ultimi in Italia.
"Sono troppi, ci rubano i posti migliori, lavorano per pochi soldi, occupano i letti degli ospedali, sono rumorosi e non si lavano" dicevano in Svizzera degli italiani. Ma, come lei scrive, la questione alla base delle discriminazioni nei confronti dei migranti non poteva essere di tipo economico perché negli anni Sessanta in quel Paese non mancava certo il lavoro.
Ho controllato: dal 1962 (durante la grande ondata immigratoria) al 1972, in dieci anni, in Svizzera non c'erano disoccupati. La statistica era 0,0% di disoccupazione. Eppure Schwarzenbach ebbe un successo strepitoso e quasi vinse il referendum. Perché? Perché il populismo, oggi come allora, è un fatto soprattutto identitario, di paura dell'altro, del diverso. Questa forse è la lezione più grande che ho imparato facendo quest'inchiesta. INFO