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venerdì 22 aprile 2022

..e mi domandi cosa è la guerra… Zlata Filipovic - Diario di Zlata "e ora una terribile guerra mi sta portando via tutto. Perché? Sono disperata. Ho tanta voglia di piangere… Sto piangendo…

IL DIARIO DI ZLATA di Zlata Filipovic - Mondadori Education - Zlata Filipovicˇ è una ragazzina di soli undici anni quando nel suo paese, la Bosnia, e nella sua città, Sarajevo, scoppia la guerra.
Titolo: Diario di Zlata
Autore: Zlata Filipovic
Casa editrice: Rizzoli
    Nel 1991 Zlata Filipovic´ ha undici anni e vive a Sarajevo. Come tante sue coetanee tiene un diario dove registra gli eventi minimi dell’esistenza quotidiana: gli studi, gli amici, i weekend in campagna, l’ammirazione per i cantanti, le modelle famose, i divi della televisione. Quando scoppia la guerra e nel marzo del 1992 cominciano i primi spari a Sarajevo, il tono del diario cambia radicalmente. All’amica immaginaria di nome Mimmy consegna per un anno e mezzo la cronaca di giornate completamente diverse da prima: le notti passate in cantina, l’esplodere delle granate, le case in fiamme, le raffiche dei cecchini, la fame, la mancanza d’acqua e di elettricità, la morte degli amici, la perdita di speranza di chi la circonda. Una testimonianza coraggiosa e commovente, un’invocazione alla pace diventata un classico della letteratura di guerra.
    Zlata sopravvive a esperienze terribili e incomprensibili: alle notti trascorse in cantina, all’incendio della casa, alla fame, alla mancanza di acqua e di elettricità. Sopravvive anche alla morte degli amici. Sopravvive, soprattutto, alla perdita di speranza. E ci regala il suo diario, che è al tempo stesso la cronistoria di una guerra vicina a noi nel tempo e nello spazio e il messaggio di pace di chi l’innocenza non l’ha ancora perduta.
    Dal diario di Zlata, 12 anni, Serajevo, 29 giugno 1992

    Cara Mimmj,
    NOIA!!! SPARI!!! GRANATE!!! MORTI!!! DISPERAZIONE!!! FAME!!! DOLORE!!! PAURA!!!
    Questa è la mia vita, la vita di un’innocente ragazzina di undici anni!!!
    Una scolara senza scuola, senza le gioie e l’eccitazione della vita scolastica. Una bambina che vive senza giochi, senza amici,
    senza sole, senza uccelli, senza natura, senza frutta, senza cioccolata, senza caramelle, solo con un po’ di latte in polvere.
    In poche parole, una bambina senza infanzia.
    Una bambina della guerra.
    Solo ora capisco che sto davvero vivendo una guerra, che sono testimone di una brutta, orribile guerra. E insieme a me migliaia di altri bambini di questa città che viene distrutta, che piange e si dispera, sperando in un aiuto che non arriverà. Dio mio, finirà mai tutto questo, potrò mai tornare ad essere una bambina normale, una bambina che si gode la sua età?
    Una volta ho sentito dire che l’infanzia è il periodo più bello della vita. Ed è vero. Io amavo la mia infanzia, e ora una terribile guerra mi sta portando via tutto. Perché?
    Sono disperata.
    Ho tanta voglia di piangere…
    Sto piangendo…
    C'è solo un po' d'amore
    Che mi è rimasto qui
    E non so dove metterlo
    Un amore così
    Vedessi come canta
    Vedessi come danza
    Vedessi quante volte si sposta
    Si muove per la stanza
    E dice di conoscermi
    Di essere qui per me

giovedì 21 aprile 2022

#Liberi, #Libertà, #Liberazione. Piero Calamandrei asseriva «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».


Nel "Discorso sulla Costituzione" pronunciato il 16 gennaio 1955, Piero Calamandrei asseriva «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Un’affermazione ritornata di estrema attualità in questo disastroso periodo, per via degli effetti di privazione che ciascuno di noi in questo momento vive e sperimenta in prima persona, molti per la prima volta nella vita.
Piero Calamandrei nacque a Firenze il 21 aprile 1889 da Rodolfo, professore di diritto commerciale, e Laudomia Pimpinelli. L’infanzia si svolse placidamente all’insegna delle idealità repubblicane dal padre, deputato dal 1906 al 1908, che impartì al figlio un’educazione severa, di cui il rigore morale caratteristico del giurista è la cifra più evidente. Questi dimostrò precocemente una spiccata vocazione letteraria, trasposta nei versi e favole pubblicati tra 1910 e 1912 su alcune riviste, tra cui il celebre Corriere dei Piccoli e Il Giornalino della Domenica.
L’avvento del fascismo impresse un rinnovato vigore all’attivismo politico di Calamandrei, indignato dalla barbarie squadrista rivolta contro il Circolo di cultura fiorentino e contro molti studi di avvocati da parte dei fascisti il 31 dicembre 1924. Il sentimento di progressiva degenerazione del tessuto sociale e politico lo portò ad aderire a numerosi atti di protesta pubblici, sottoscrivendo insieme a molte personalità del tempo Il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Il delitto Matteotti non fece altro che radicalizzare questa presa di posizione, portandolo ad aderire all’Unione Nazionale di Giorgio Amendola e alla società Italia Libera, oltre ad intessere stretti rapporti con il circolo antifascista fiorentino Non Mollare.
La breve stagione politica di Calamandrei terminò con la normalizzazione del regime a metà degli anni Venti, inducendolo a ritirarsi nell’esercizio dell’avvocatura e all’insegnamento nell’ateneo fiorentino al quale era arrivato nel 1924. Egli fu comunque chiamato in quello stesso anno nella sottocommissione incaricata di riformare il codice di procedura penale, senza che tuttavia le proposte elaborate nei due anni di lavori venissero recepite dal regime. Nonostante la collaborazione, Calamandrei fu uno dei pochi intellettuali a non chiedere la tessera del Partito, giurando però nel 1931 fedeltà al regime per poter proseguire nell’insegnamento accademico.
L’ottica in cui la pratica e il pensiero di Calamandrei si mossero, al di là degli approcci particolari ai singoli temi, fu quella di tutela dell’interesse generale e difesa del principio di legalità. Queste tematiche segnarono come stelle polari il cammino intellettuale del giurista fiorentino, segnato dagli anni di elaborazione delle tesi chiovendiane e dalla testarda quanto sagace opera di disturbo durante il fascismo. Un cammino terminato nel cuore degli anni del miracolo, immerso nell’ordine repubblicano di cui egli fu senza dubbio dotto custode e fedele partigiano.  Scritto da Michelangelo Morelli dapandorarivista.it
PIERO CALAMANDREI, Discorso sulla Costituzione, 1955.
È così bello, è così comodo: la libertà c'è. Si vive in regime di libertà, c'è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch'io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa.
Però la libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent'anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai.
E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

La #Bacheca: #CINEMA. La terra trema film diretto da Luchino Visconti ispirato a I Malavoglia di Giovanni Verga.

La terra trema è un film del 1948 diretto da Luchino Visconti e ispirato a I Malavoglia di Giovanni Verga.
Aci Trezza, porticciolo situato tra Catania e Acireale. La famiglia Valastro vive poveramente di pesca, attività controllata da grossisti senza scrupoli. Il figlio maggiore dei Valastro, 'Ntoni, protesta contro i loro abusi, ma la sua è una rivolta che rimane solitaria. In seguito a una rissa iniziata con Lorenzo, grossista profittatore e spaccone, 'Ntoni è rinchiuso in prigione e quando, pagato il rilascio, ne esce, decide di mettersi in proprio con la sua famiglia.
All'inizio gli affari vanno bene ma una tempesta distrugge la loro barca, i debiti aumentano, le riserve di acciughe devono essere vendute a basso costo e la famiglia si disgrega. La sorella Lucia diviene l'amante del maresciallo del corpo di finanza di Aci Trezza, il fratello Cola diventa un contrabbandiere e la sorella Mara non può sposare il muratore che ama. 'Ntoni rimane solo e, con grande amarezza, non gli rimane che chiedere l'imbarco proprio agli sfruttatori che aveva cercato inutilmente di sfidare.
La terra trema avrebbe dovuto essere il primo film di un "trittico della miseria" che, secondo l'intenzione di Visconti, avrebbe dovuto descrivere, nell'ordine, la lotta dei pescatori, dei minatori nelle zolfare e dei contadini che lottano per liberarsi dall'antica schiavitù. La trilogia si sarebbe conclusa con una galoppata da far tremare la terra, appunto, lungo i terreni conquistati ai latifondisti.In definitiva, Visconti riuscì a realizzare solo il primo capitolo.
Visconti ha conservato del romanzo l'ambientazione siciliana, il nome del protagonista, 'Ntoni, e le linee generali della trama. Nonostante l'unico nome conservato del romanzo sia quello del protagonista, quello degli altri personaggi richiama protagonisti di opere verghiane: Ia Mena del romanzo diventa qui Mara, protagonista della novella "Jeli il pastore"; mentre riconosciamo in "Nedda" la protagonista dell'omonima novella.
Il tema principale della storia è quello di una rivolta individuale che si arresta davanti a una società classista. Nel film, a differenza del romanzo, non siamo di fronte però a un'oscura fatalità, ma a un sistema di oppressione economica i cui responsabili sono chiaramente indicati.
La legge che regna in questo povero paese sottosviluppato è quella dello sfruttamento capitalista. La realizzazione dei manifesti del film per l'Italia fu affidata al pittore cartellonista Averardo Ciriello. Al Festival di Venezia del 1948 vinse il Premio internazionale "per i suoi valori stilistici e corali". wikipedia.org

#Amore è #Raccontare la #Bellezza. Storia di una capinera film diretto da Franco Zeffirelli, tratto dal romanzo omonimo di Giovanni Verga.

Storia di una capinera è un film italiano del 1993 diretto da Franco Zeffirelli e tratto dal romanzo omonimo di Giovanni Verga.
Ambientato nella Catania di metà Ottocento, narra la storia di una ragazza che viene costretta dalla matrigna a farsi suora. Il film è stato girato ad Aci Trezza, Aci Castello, Catania, Etna, Palazzolo Acreide, Noto, Zafferana Etnea e ad Aci San Filippo nei pressi dell'Eremo di Sant'Anna.
Nella Catania di metà Ottocento scoppia un'epidemia di colera. La giovane novizia Maria è costretta ad abbandonare temporaneamente il suo convento per tornare a casa da suo padre e dalla sua matrigna, Matilde. Durante questo periodo la ragazza, che fin dalla più tenera età ha conosciuto solo la vita di clausura, scopre la vita al di fuori del chiostro e ne resta affascinata. Maria conosce anche Nino, giovane studente di buona famiglia del quale si innamora a prima vista. Anche il giovane sembra interessarsi a lei: la invita a ballare durante una festa e la corteggia in altre occasioni.
Maria è indecisa: vorrebbe stare con Nino ma allo stesso tempo pensa che il suo destino sia prendere i voti, così come la matrigna aveva stabilito. Un giorno Nino le dichiara il suo amore e le chiede di lasciare il convento: questo accentua il tormento di Maria, combattuta tra i suoi sentimenti e il suo dovere nei confronti di Dio. Alla fine il senso del dovere prevale e, dopo aver rifiutato Nino, la giovane fa ritorno in convento. Qui, contrariamente alle sue aspettative, il suo tormento non si placa e le fa capire di non aver preso la giusta decisione.
Pensa ai momenti passati con lui e si confessa con suor Agata, una suora apparentemente pazza, in realtà anche lei tormentata da un sentimento d'amore per un uomo conosciuto diversi anni prima e, come lei, diventata suora per errore. Durante una confessione in chiesa Maria intravede una cerimonia di nozze e vede che lo sposo è proprio Nino mentre la sposa è la sorella di Maria, Giuditta. Infatti, dopo che Maria è tornata in chiesa, Nino ha chiesto la mano a Giuditta, da sempre innamorata di lui. Maria cade in depressione. Una sera lascia il convento e decide di correre da Nino il quale si è trasferito assieme a Giuditta proprio in una casa di fronte al convento. wikipedia.org
Storia di una capinera è un romanzo epistolare di Giovanni Verga.
Fu scritto tra il giugno e il luglio 1869, durante il soggiorno dello scrittore a Firenze. Il 25 novembre 1869, tornato temporaneamente a Catania, Verga spedisce il romanzo a Francesco Dall'Ongaro, il quale ne rimase soddisfatto al punto da riuscire a farlo pubblicare dall'editore Lampugnani nella sua sede di Milano.
Al 1871 risale, perciò, la prima pubblicazione ufficiale del romanzo, apparso dapprima all'interno della rivista di moda La ricamatrice e poi in volume. In realtà, però, il romanzo era stato già pubblicato nel 1870 a puntate su un'altra rivista del Lampugnani, ovvero il Corriere delle dame (anno LXVIII, dal numero 20 del 16 maggio 1870 al numero 34 del 22 agosto 1870), semplicemente con il titolo La capinera.
La prima edizione del volume conteneva come prefazione la lettera con cui Dall'Ongaro aveva accompagnato l'invio dell'opera alla scrittrice Caterina Percoto, anche lei ferma sostenitrice del romanzo. Il romanzo è in parte autobiografico: prende spunto, infatti, da una vicenda vissuta in prima persona da Giovanni Verga in età giovanile. L'episodio risale all'estate 1854-1855 quando, in seguito all'epidemia di colera che si era scatenata su Catania, la famiglia Verga si rifugia a Tebidi, una località tra Vizzini e Licodia. Verga, all'epoca quindicenne, si innamora di Rosalia, giovane educanda del monastero di San Sebastiano (Vizzini), dove è monaca anche sua zia.
Verga introduce il romanzo spiegando il motivo che lo ha portato ad intitolarlo proprio Storia di una capinera:
«Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione. wikipedia.org

lunedì 18 aprile 2022

..e mi domandi cosa è la guerra…│Olena Kushnir│Iryna Filkina│Igor Belanov

  1. C'era anche Olena Kushnir, medico della Guardia nazionale ucraina, tra le cento donne in prima linea nella difesa di Mariupol fino alla fine.
  2. Bucha, Iryna Filkina: chi era la donna morta con lo smalto rosso 
  3. Dal Pallone d'Oro vinto nel 1986 alla guerra a difesa dell'Ucraina. È la storia di Igor Belanov, che non ci ha pensato due volte a "impugnare" un fucile per proteggere il suo popolo dagli attacchi russi.
C'era anche Olena Kushnir, medico della Guardia nazionale ucraina, tra le cento donne in prima linea nella difesa di Mariupol fino alla fine. Sono rimaste tra le fila di chi non ha abbandonato la città, sotto l'assedio russo, testimonia la giornalista Tetyana Danylenko.
Olena Kushnir è morta negli ultimi scontri. Olena era riuscita nei giorni scorsi ad evacuare il figlioletto. Nei primi giorni di guerra aveva perso il marito. A marzo aveva fatto un video in cui testimoniava il martirio della città e chiedeva aiuto all'occidente: «Non compatitemi, sono un medico, una combattente, sono ucraina, faccio il mio dovere», diceva.leggo.it
 
Bucha, Iryna Filkina: chi era la donna morta con lo smalto rosso La foto è stata condivisa sui social media e una truccatrice della vicina Gospel ha riconosciuto in quelle mani e nelle unghie smaltate Iryna Filkina, 52 anni, aspirante truccatrice e blogger che pubblicava tutorial sui social. Anastasiia Subacheva ha spiegato al New York Times di aver riconosciuto subito le mani e le unghie della signora Filkina dai suoi video. Ha poi aggiunto che il suo cuore si è spezzato quando ha visto la fotografia. «Quando l'ho visto, mi sentivo fisicamente come se il mio cuore avesse iniziato a spezzarsi», le sue parole al Times affaritaliani.it/esteri
ODESSA - Dal Pallone d'Oro vinto nel 1986 alla guerra a difesa dell'Ucraina. È la storia di Igor Belanov, che non ci ha pensato due volte a "impugnare" un fucile per proteggere il suo popolo dagli attacchi russi.
Lo si apprende in un post sui social (vedi sotto): «Pace all'Ucraina e gloria a tutti quelli che si oppongono agli occupanti che sfacciatamente sono venuti a distruggere la nostra terra e il nostro popolo libero ed eroico», sono le parole accompagnatorie al post.
Belanov è nato ad Odessa, oggi facente parte dell'Ucraina ma all'epoca territorio dell'Urss. E, proprio con la Nazionale dell'Urss, Belanov ha esordito il 2 maggio del 1985 in occasione di un match contro la Svizzera valido per le qualificazioni ai Mondiali del 1986. Due anni più tardi, a Euro88 ha invece raggiunto una finale, poi persa contro l'Olanda per 2-0.

venerdì 15 aprile 2022

..e mi domandi cosa è la guerra…│"...la città si spegneva tra il fumo, la polvere e il fuoco," ...Vasilij Grossman - Stalingrado

«Le fiamme divampavano ovunque, appiccate da decine di migliaia di bombe incendiarie… Enorme, la città si spegneva tra il fumo, la polvere e il fuoco, nel boato che scuoteva il cielo, l’acqua e la terra».
Quando Pëtr Vavilov, un giorno del 1942, vede la giovane postina attraversare la strada con un foglio in mano, puntando dritto verso casa sua, sente una stretta al cuore. Sa che l’esercito sta richiamando i riservisti. Il 29 aprile, a Salisburgo, nel loro ennesimo incontro Hitler e Mussolini lo hanno stabilito: il colpo da infliggere alla Russia dev’essere "immane, tremendo e definitivo». Vavilov guarda già con rimpianto alla sua isba e alla sua vita, pur durissima, e con angoscia al distacco dalla moglie e dai figli: «...sentì, non con la mente né col pensiero, ma con gli occhi, la pelle e le ossa, tutta la forza malvagia di un gorgo crudele cui nulla importava di lui, di ciò che amava e voleva. Provò l’orrore che deve provare un pezzo di legno quando di colpo capisce che non sta scivolando lungo rive più o meno alte e frondose per sua volontà, ma perché spinto dalla forza impetuosa e inarginabile dell’acqua». È il fiume della Storia, che sta per esondare e che travolgerà tutto e tutti: lui, Vavilov, la sua famiglia, e la famiglia degli Šapošnikov – raccolta in un appartamento a Stalingrado per quella che potrebbe essere la loro «ultima riunione» –, e gli altri indimenticabili personaggi di questo romanzo sconfinato, dove si respira l’aria delle grandi epopee. Un fiume che investirà anche i lettori, attraverso pagine che si imprimeranno in loro per sempre. E se Grossman è stato definito «il Tolstoj dell’Unione Sovietica», ora possiamo finalmente aggiungere che Stalingrado, insieme a Vita e destino, è il suo Guerra e pace. adelphi.it
«Lo spettacolo era tremendo, ma ancor più tremenda era la morte negli occhi di un esserino di sei anni schiacciato da una trave di ferro. Perché se esiste una forza capace di risollevare dalla polvere di città enormi, non c’è forza al mondo in grado di risollevare le palpebre dagli occhi di un bambino morto»
Vasilij Grossman - Stalingrado
Traduzione di Claudia Zonghetti
A cura di Robert Chandler, Jurij Bit-Junan
Biblioteca Adelphi, 731
2022, 2ª ediz., pp. 884, 3 cartine in b/n
isbn: 9788845936517

venerdì 8 aprile 2022

#alTempoNelTempo - Il sacco di Roma ebbe inizio il 6 maggio 1527

Il sacco di Roma (saccheggio) ebbe inizio il 6 maggio 1527 a opera delle truppe imperiali di Carlo V d'Asburgo, composte principalmente da lanzichenecchi tedeschi, circa 14000, oltre che da 6000 soldati spagnoli e da un imprecisato numero di bande di italiani.
Le truppe imperiali, in prevalenza spagnoli sbarcati a Genova sotto la guida di Carlo III di Borbone, erano state impegnate nella seconda parte del 1526 nella pianura padana contro la lega di Cognac. L'imperatore aveva quindi fatto scendere a rinforzo dal Tirolo i lanzichenecchi alla guida dell'ormai vecchio von Frundsberg, i quali però erano stati contrastati con efficacia da Giovanni delle Bande Nere. Morto Giovanni e conquistata Milano, spagnoli e lanzichenecchi si riunirono a febbraio del 1527 a Piacenza.
I possedimenti veneziani a est erano protetti da Francesco Maria, duca di Urbino, che ben poco aveva fatto per impedire le azioni imperiali nelle terre del ducato di Milano. Spagnoli e lanzichenecchi, mal assortiti e mal disposti gli uni verso gli altri, decisero di muoversi congiuntamente verso sud a caccia di bottino, sotto il controllo parziale di Carlo III di Borbone, che poteva contare solo sul prestigio personale, visto che le truppe non vedevano il soldo da mesi.
Affamate e desiderose di preda, lasciarono indietro la poca artiglieria. Aggirata Firenze, considerata un obiettivo difficile in quanto ben difesa, a marce forzate e spinte dalla fame si diressero verso Roma. La città era praticamente sguarnita di difensori, in quanto papa Clemente VII per risparmiare il soldo aveva licenziato le truppe, convinto di poter trattare con Carlo V per cambiare nuovamente partito.
Il sacco di Roma ebbe un tragico bilancio, sia nei danni alle persone sia al patrimonio artistico. Circa 20000 cittadini furono uccisi, 10000 fuggirono, 30000 morirono per la peste portata dai lanzichenecchi. Clemente VII, rifugiatosi in Castel Sant'Angelo, dovette arrendersi e pagare 400000 ducati. I lanzichenecchi, di prevalente fede protestante, erano animati anche da fervore antipapale e furono responsabili delle maggiori crudeltà verso religiosi e religiose e dei danni agli edifici di culto.
L'evento segnò un momento importante delle lunghe guerre per il predominio in Europa tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Francia, alleato con lo Stato della Chiesa. La devastazione e l'occupazione della città di Roma sembrarono confermare simbolicamente il declino dell'Italia in balia degli eserciti stranieri e l'umiliazione della Chiesa cattolica impegnata a contrastare anche il movimento della Riforma luterana sviluppatosi in Germania.
La vicenda si inquadra nella più ampia cornice dei conflitti per la supremazia in Europa, tra gli Asburgo e i Valois, ovverosia tra Francesco I di Valois, Re di Francia e Carlo V d'Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero nonché Re di Spagna. Più precisamente si inserisce nel secondo conflitto che vide impegnati i due sovrani dal 1526 al 1529.
Il primo conflitto si era concluso con la sconfitta di Francesco I a Pavia e la sottoscrizione del trattato di Madrid, avvenuta nel mese di gennaio del 1526, a seguito della quale il sovrano francese dovette rinunciare, tra l'altro, a ogni suo diritto sull'Italia e restituire la Borgogna agli Asburgo.
Nel maggio successivo, però, papa Clemente VII (al secolo Giulio de' Medici), sfruttando l'insoddisfazione del Valois per aver dovuto sottoscrivere un trattato contenente clausole estremamente mortificanti per la Francia, si rese promotore di una Lega anti-imperiale, la cosiddetta Santa Lega di Cognac.
In sostanza, papa Clemente col re di Francia aveva condiviso il timore che il sovrano asburgico, una volta impossessatosi dell'Italia settentrionale e avendo già nelle sue mani l'intera Italia meridionale come eredità spagnola, potesse essere indotto a unificare tutti gli Stati della penisola sotto un unico scettro, a danno dello Stato Pontificio, che rischiava di rimanere isolato e venire fagocitato.
I Lanzichenecchi di Frundsberg, circa 14000 miliziani mercenari arruolati principalmente a Bolzano e Merano e seguiti dalle loro 3000 donne, lasciarono Trento il 12 novembre 1526 affiancati da altri 4000 mercenari provenienti da Cremona. Marciarono inizialmente in direzione della Valle dell'Adige per confondere le milizie veneziane per poi dirigersi improvvisamente verso la Valle del Chiese accampandosi a Lodrone; qui tuttavia, vista l'impossibilità di superare la Rocca d'Anfo presidiata dai veneziani, dopo aver percorso difficili strade di montagna in Val Vestino ed essere giunti nella Valle Sabbia a Vobarno, le milizie tedesche non riuscirono a superare un primo sbarramento delle truppe veneziane alla Corona di Roè Volciano. Timoroso del sopraggiungere delle truppe della Lega stanziate nel milanese e che erano costituite da circa 35000 soldati, Frundsberg ritenne impossibile sfondare verso Brescia. Quindi, sceso a Gavardo, deviò la marcia dei suoi lanzichenecchi in direzione di Mantova dove intendeva attraversare il Po.
Le milizie imperiali superarono alcune deboli resistenze a Goito, Lonato e Solferino e quindi raggiunsero Rivalta; il 25 novembre 1526, i lanzichenecchi di Frundsberg, anche grazie al tradimento dei Signori di Ferrara e di Mantova (di cui sotto), sconfissero nella battaglia di Governolo le truppe di Giovanni dalle Bande Nere che tentavano di sbarrare loro il passo nei pressi di un ponte sul Mincio; lo stesso condottiero italiano, che nei giorni precedenti aveva cercato di rallentare l'avanzata nemica con una serie di incursioni di disturbo della sua cavalleria leggera, venne gravemente ferito da un colpo di falconetto morendo dopo alcuni giorni per le conseguenze della ferita[7]. Le milizie tedesche quindi poterono passare il Po il 28 novembre 1526 vicino a Ostiglia e proseguirono l'avanzata; nei giorni seguenti vennero rinforzati da duecento uomini condotti da Filiberto di Chalons principe d'Orange e da cinquecento archibugieri italiani al comando di Niccolò Gonzaga
Il sacco causò danni incalcolabili al patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III:
«Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furono le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.»
Sacco di Roma, incisione di Maarten van Heemskerck.
Al tempo del "Sacco", la città di Roma contava, secondo il censimento pontificio realizzato tra la fine del 1526 e l'inizio del 1527, 55035 abitanti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina.
Una tale esigua popolazione era difesa da circa 4 000 uomini in armi e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice.
Le secolari carenze manutentive all'antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria e dalla peste bubbonica. L'improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione quanto gli occupanti.
Alla fine di quell'anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20 000 morti causate dalle violenze o dalle malattie. Tra le vittime si annoverano anche alti prelati, come il cardinale Cristoforo Numai da Forlì, che morì pochi mesi dopo per le sofferenze patite durante il saccheggio. Come in molti altri luoghi dell'Europa a causa delle guerre di religione, si determinò un periodo di povertà nella Roma del XVI secolo.
Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi a un saccheggio così efferato e per così lungo tempo, cioè per circa dieci mesi, risiedono nella frustrazione per una campagna militare fino ad allora deludente e, soprattutto, nell'acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutriva per la Chiesa cattolica.
Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per "cinquine". Quando però il comandante delle truppe non disponeva di denaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto "sacco" della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione.
Nel caso specifico, i lanzichenecchi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo.
Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda a un'avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per loro abbandonarsi per un tempo così lungo al saccheggio della non più eterna Roma.
Oltre che per la storia della città di Roma, il sacco del 1527 ha avuto una valenza epocale tanto che Bertrand Russell e altri studiosi indicano il 6 maggio 1527 come la data simbolica in cui porre la fine del Rinascimento.wikipedia.org - Sacco_di_Roma_(1527)

mercoledì 6 aprile 2022

..e mi domandi cosa è la guerra… Nome, data di nascita, e poi i numeri di telefono da chiamare...viventi siam rimasti noi e nulla più.

Nome, data di nascita, e poi i numeri di telefono da chiamare: dati scritti a penna sulla schiena di una bambina ucraina da sua madre, nel tentativo di assicurarle la salvezza nel caso in cui lei venga uccisa nel corso della guerra in atto con la Russia. È la storia raccontata su Twitter da un utente ucraino, che al testo allega la foto di una piccola di spalle con le scritte sulla pelle, tra cui figura il suo nome: Vera. La foto proviene dall’account Instagram della madre della piccola, Sasha Makoviy, che in un lungo post risalente a tre giorni fa ha scritto: «Ho titubato per cinque minuti prima di decidermi a pubblicare questa foto. Fa male scorrere le immagini della galleria: avevamo una vita così meravigliosa. Ho scritto queste parole sulla schiena di Vera il primo giorno di guerra, con le mani che tremavano». Makoviy pubblica anche una seconda foto, che raffigura un foglietto con le stesse informazioni che appaiono sulla schiena di sua figlia, « nel caso ci fosse successo qualcosa e quindi qualcuno l’avrebbe accolta come sopravvissuta». Sasha racconta che mentre scriveva sentiva le esplosioni assordanti causate dai bombardamenti, e tra i tremori le è balenato in mente un pensiero folle: «perché non le ho tatuato addosso queste informazioni?». La conclusione del post è tuttavia rincuorante: «dove siamo ora è sicuro», anche se Sasha non si decide a «buttare il foglio spiegazzato della seconda foto». www.open.online
Ci sono troppe buche, Marcondiro'ndera 
ci sono troppe buche, chi le riempirà? 

Non potremo più giocare al Marcondiro'ndera 
non potremo più giocare al Marcondiro'ndà.
  
E voi a divertirvi andate un po' più in là 
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.
La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera 
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
 
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori 
i boschi e le stagioni con i mille colori.
 
Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è più 
viventi siam rimasti noi e nulla più.

sabato 2 aprile 2022

..e mi domandi cosa è la guerra… Giovanni Paolo II, Angelus del 16 marzo 2003

Nell'Angelus del 16 marzo 2003, Giovanni Paolo II pronunciò un discorso contro il secondo conflitto in Iraq. Parole rimaste nella storia
Quattro giorni prima dell'attacco americano all'Iraq il Papa proclama la sua opposizione
Giovanni Paolo II, all’ Angelus del 16 marzo 2003, due anni prima della sua scomparsa, lasciava un vero e proprio testamento spirituale in mano ai giovani e alle generazioni future. Parole ancora vive, come lui, presente nel mondo oggi più che mai:
“Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: ‘MAI PIÙ LA GUERRA!’… Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità”.

..e mi domandi cosa è la guerra… Bosnia, ero così cattivo... Certo, le cose cambieranno se lo vorremo veramente....

Vorrei parlare della mia visione
La vita era così ingiusta...
Noi viviamo nelle nostre condizioni sicure
E la gente muore fuori di qui.
Bosnia, ero così cattivo...
Sarajevo, cambiami.
Bosnia, ero così cattivo...
Certo, le cose cambieranno
se lo vorremo veramente.
Non più paura per i bambini
Ci sono piccoli nei loro letti
Il terrore, nelle loro teste,
Per l'amore della vita!
«In Bosnia ed Erzegovina viene condotta una guerra mondiale nascosta,
poiché vi sono implicate direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali
e sulla Bosnia ed Erzegovina si spezzano tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio.» (Kofi Annan, Report of the Secretary-General, p 503)
La guerra in Bosnia ed Erzegovina è stato un conflitto armato svoltosi tra il 1º marzo 1992 e il 14 dicembre 1995, fino alla stipula dell'accordo di Dayton, che pose ufficialmente fine alle ostilità.
Il conflitto si inserisce all'interno delle guerre jugoslave svoltesi tra il 1991 e il 2001, all'indomani della dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Il violento conflitto vide il coinvolgimento dei tre principali gruppi nazionali: serbi, croati e bosgnacchi. wikipedia.org - Guerra_in_Bosnia_ed_Erzegovina