Noi non siamo che strumenti coscienti o incoscienti. Ma di che? È questa la scelta, che chiamiamo libertà? Preferite essere al servizio della Speranza e della Fiducia o al servizio delle statistiche?
Primo dopoguerra, una generazione di ragazzi allo sbando, lasciati soli davanti all'impatto con le difficoltà della vita, e chiamati a costruire da sé il proprio futuro attraverso gli errori e le incertezze della giovane età. Accanto a loro si muove Lamy, il giudice dei minorenni, chiamato ogni giorno al difficile compito di far emergere, in un contesto apparentemente senza speranza, fra lo scetticismo e la derisione di chi lo considera un ingenuo utopista, i semi di generosità, d'affetto, di purezza che solo un occhio carico di misericordia riesce a vedere. Il cuore del romanzo è proprio la limpida coscienza religiosa di Lamy, che lo rende capace di uno sguardo amoroso sulle persone e sulle vicende del mondo, capace di portarvi un Amore che non è suo, ma gli è donato. Una carica provocatoria che non cessa di interrogare il lettore di oggi, ponendogli incessantemente di fronte la possibilità reale, sperimentabile, di un modo diverso di guardare se stessi e il mondo. https://www.rizzolilibri.it/libri/cani-perduti-senza-collare/
Marchio: Bur
Collana: Biblioteca dello spirito cristiano
Pagine: 160
Data di uscita: 22/11/1995
Cani perduti senza collare - Gilbert Cesbron
Roberto Alano chiude gli occhi e si passa sul volto quelle pallide carte così spesso bagnate dalle sue lagrime e toccate dai suoi baci. Sulle sue guance, sulle sue labbra, è la mano di sua madre, la mano di suo padre che lo accarezzano. Distingue molto bene l'una dall'altra...quelle mani...quelle mani che lo avevano abbandonato, buttato nella spazzatura...si nella spazzatura! Dovevo essere proprio brutto! Tuttavia a un anno non potevo aver fatto loro del male! Allora perchè? Perchè?...!
"Non vuoi amare mai nessuno? Perchè?" [...] "Ogni volta che ho voluto bene a qualcuno mi ha abbandonato!" "Ascolta..." "Non voglio più essere abbandonato, adesso! Sarò sempre io che abbandonerò per primo!"
"La fiducia! Sono le uniche sbarre che possano trattenere i ragazzi: sì, la fiducia..."
Cocciante e Plamondon, come da loro dichiarato, hanno scritto l'opera per il puro piacere di scrivere musica, senza pensare di realizzarla in forma scenica. A lavoro terminato, tuttavia, il risultato è di tale qualità da spingerli a trasformarlo in uno spettacolo teatrale.
Il 16 settembre 1998 l'opera debutta a Parigi con la regia di Gilles Maheu, il quale, seguendo i desideri degli autori, anziché sviluppare l'azione teatralmente come in un musical, allestisce uno spettacolo in forma semi-scenica, con scenografie e cantanti in costume, i quali tuttavia interagiscono solo parzialmente, interpretando i brani in forma quasi concertistica, alternandosi al corpo di ballo che esegue le coreografie separatamente.
I brani Vivre, Le Temps des cathédrales, e Belle sono stati presentati come singoli in Francia, ottenendo un buon successo. Live for the One I Love, versione inglese di Vivre è stata incisa da Céline Dion.
Il successo travolgente della produzione parigina spinge gli autori ad esportare lo spettacolo, realizzando adattamenti in numerose nazioni. Dal debutto parigino al 2008 lo spettacolo è stato portato in scena in Francia, Corea del Sud, Belgio, Svizzera, Canada, Russia, Spagna, oltre che in Italia, Regno Unito e USA.
Dio, ma quanto è ingiusto il mondo
Zero a noi e tanto a loro
Se la nostra razza è immonda
Di che razza è il loro cuore?
Sono nati nei merletti
Per far l'amore e la guerra
Ma anche a noi, stracci della terra
La vita piacerebbe bella
Ma da quale parte è Dio
Una prima versione in lingua inglese, con i testi di Will Jennings, è stata presentata, ampiamente tagliata, nel 2000 a Las Vegas, cui è seguita l'edizione integrale che ha debuttato a Londra il 23 maggio dello stesso anno, restando in scena per diciassette mesi nel West End con un certo successo di pubblico (sebbene molto inferiore rispetto all'edizione parigina).
Notre-Dame de Paris (titolo orig. Notre-Dame de Paris. 1482) è un romanzo storico di Victor Hugo, pubblicato nel 1831, quando l'autore aveva 29 anni. Fu il primo grande successo dello scrittore francese: venne infatti immediatamente accolto con grande favore, superando la censura del tempo. Il titolo fa riferimento alla celeberrima cattedrale di Parigi, uno dei luoghi principali dove è ambientato l'intreccio, cuore della Parigi basso medievale, al tempo di re Luigi XI di Francia.
La festa dei folli
Parigi, 6 gennaio 1482. Da tempo immemore in quel giorno vengono festeggiate due solennità: l'Epifania e la festa dei folli, quest'ultima una manifestazione popolare culminante nell'elezione del papa dei folli. Quell'anno, presso il Palazzo di Giustizia viene anche messo in scena un mistero teatrale in onore della principessa Margherita di Fiandra, scritto dallo squattrinato poeta Pierre Gringoire in occasione dell'arrivo a Parigi dell'ambasciata fiamminga. Sfortunatamente per l'autore, ben presto l'attenzione del pubblico si sposta sugli ospiti fiamminghi, uno dei quali, annoiato dalla rappresentazione teatrale, propone di organizzare una gara di smorfie allo scopo di eleggere come papa dei folli colui che avrebbe sfoggiato la smorfia più grottesca. L'idea riscuote grande successo presso gli astanti, entusiasti al punto da partecipare in massa, e la gara termina con l'elezione a papa dei folli di un inconsapevole Quasimodo, deforme campanaro della cattedrale di Notre-Dame, suo malgrado partecipe alla gara. La folla, euforica e oramai del tutto dimentica del lavoro teatrale, abbandona il Palazzo di Giustizia e si precipita nella piazza, attratta dall'esibizione di una giovane zingara, Esmeralda, assieme alla sua graziosa capretta di nome Djali.
Il romanzo finisce con la spiegazione di quanto successo ai personaggi in seguito: il re muore di morte naturale, mentre Phoebus, completamente guarito dalla ferita provocatagli da Frollo, totalmente indifferente alla vicenda e senza alcun senso di colpa, si sposa con la ricca Fleur-de-Lys. Per quello che riguarda la sorte di Quasimodo, invece, il romanzo spiega che una volta raggiunto il corpo esanime dell'amata zingara (accatastato assieme agli altri cadaveri presso il sotterraneo di Montfaucon) si sdraia al suo fianco e si lascia morire, in un eterno ultimo abbraccio. La scena, denominata significativamente Il matrimonio di Quasimodo, viene così descritta:
«[...] si trovarono fra tutte quelle carcasse orrende due scheletri di cui uno teneva l'altro stranamente abbracciato. Uno dei due scheletri, che era di donna, aveva ancora qualche brandello di veste di una stoffa che era stata bianca, e gli si vedeva intorno al collo una collanina di semi di azedarach con un sacchettino di seta, ornato di pietre verdi, aperto e vuoto. Quegli oggetti erano di così scarso valore che il boia probabilmente non aveva saputo che farsene. L'altro, che teneva il primo strettamente abbracciato, era uno scheletro d'uomo. Si notò che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa incassata tra le scapole, e una gamba più corta dell'altra. Non presentava d'altronde alcuna frattura vertebrale alla nuca, ed era evidente che non era stato impiccato. L'uomo al quale era appartenuto quello scheletro era dunque venuto in quel luogo, e lì era morto. Quando si volle staccarlo dallo scheletro che stringeva, andò in polvere.»
L'opera è interamente un monologo che si svolge sullo sfondo della laguna veneziana. Campagne, uomo di terraferma, viaggia in barca con l'amico Sambo, vogatore alla veneta ed esperto dell'isola e del suo territorio, raccontandogli un millennio di storia repubblicana, dalle prime palafitte alle devastazione ambientale e architettonica del Novecento, fino al disagio degli abitanti della Serenissima nel vivere in una città così bistrattata.
Il 10 settembre 1998, l'opera è stata trasmessa dall'Arsenale di Venezia in diretta su Rai2. Nello stesso anno, i brani originali suonati dal vivo sono stati incisi su CD dall'etichetta Consorzio Produttori Indipendenti. A questo spettacolo ricco di metrica, seguì l'allestimento di Bestiario, del quale Paolini affermò: «è un bestiario veneto, è una ricognizione di poesia, è un'indagine sui poeti che hanno molto usato il dialetto delle mie parti».
Un racconto di storia e un racconto d’amore, quello di Paolini su Venezia, un po’ in dialetto e un po’ in italiano, un po’ ironico e un po’ struggente. Alla maniera di Paolini insomma, uno dei migliori animali da teatro viventi. https://it.wikipedia.org/wiki/Il_milione_-_Quaderno_veneziano
Il Milione
Regia di Giuseppe Baresi e Marco Paolini
Con l'amichevole partecipazione di Mario Brunello
Autori testi teatrali: Francesco Niccolini, Marco Paolini, Michela Signori
Montaggio: Valentina Andreoli, Giuseppe Baresi, Sara Zavarise
Produzione: Francesco Bonsembiante e Michela Signori
Le riprese sono state effettuate presso:
Laguna di Venezia, Lungolaguna del Lusenzo – Chioggia VE, Grande Erg Orientale tunisino, Teatro del Parco - Mestre VE.
Produzione JOLEFILM 2009
Durata: 82'
"Il Milione" di Marco Paolini è un quaderno di viaggio che attraversa tutta la storia di Venezia, un intreccio di storie antiche e contemporanee, che segue arabeschi da tappeti orientali e strani personaggi di terra e di mare di ogni parte del mondo.
Essere nostrani è un bel vantaggio, ammettetelo. Condividere lingua, terra, storia ha un suo fascino esclusivo. Io scrivo in lingue foreste, lingue affini anche se non uguali a quelle dei padri. Uso queste lingue per raccontare storie di questa terra, terra di confini e vicinanze, di diffidenza e generosità, di business e d'ignoranza grossa. Terra di gente presuntuosa che vorrebbe distinguere il mondo di nostrani e foresti, i nostrani tutti dentro i foresti fuori, partendo dal presupposto che il peggiore dei nostrani è meglio del migliore dei foresti. Io non scrivo per loro. Mi rivolgo, anzi, a chi fa più fatica a capire le parole di questo dialetto, mi rivolgo alla loro intelligenza.
Il Milione è un ponte fra nostrani e foresti, uomini che non si riconoscono per la patria d'origine, ma per quella d'adozione, per quella a cui hanno deciso di dedicare i loro sforzi, il loro lavoro.
Il Milione è la storia di una città fatta su acqua edificabile, dei popoli che l'hanno abitata e, in modo controverso, costruita e modificata.
Dedicato a chi non ha paura di lottare perché questa retorica nostrana non trionfi, perché le città siano città e non l'imitazione di centri commerciali, simulacri di Bengodi. Marco Paolini https://www.jolefilm.com/spettacolo-tv/il-milione/
Marco Paolini, Tappeti
Anch’io all’inizio di questa storia ho fatto tappeti di
parole. Non c’è mai stata una storia, così dovevo intrecciare
trame, facendo un groppo ogni tanto per non perdere
il filo. Non puzzavano di cammello ma di inchiostro, e
dovevano via via perdere ogni traccia di scrittura per diventare
parola.
E anche voi esigenti, se guardando la Laguna sulla vostra
mappa o sul Gps di ultima generazione vedete uno che
va avanti girando, quello per adesso sono io, e io qua son
rivà e qua me fermo.
Anche perché non ho mai pensato nella
vita che per procedere bisogna andare in linea retta.
È la frase finale del testo teatrale e anche del film.
C’è nel video e nel libro, per il resto fra testo pubblicato e film
ci sono corrispondenze sparse e discrepanze varie. Il copione
contiene molte scene tagliate o poco rappresentate, c’è
anche roba di cui mi ero dimenticato, ma non c’è tutto. Qualcosa
Il racconto, del filone cyberpunk, venne pubblicato nel 1984 nel numero di luglio della rivista Omni e successivamente nel 1986 nell'antologia di Gibson La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome)
«Le zaibatsu, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una zaibatsu è fatto di informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che la compongono. Le aziende sono una forma di vita.»
«E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma richiamato dalle forze dell’economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su mille letti […]». (New Rose Hotel, La notte che bruciammo Chrome, Mondadori 1993).
Personaggi
Sandii Scaltra e affascinante mercenaria. Finge di collaborare con Fox e con il narratore per gli scopi dell'Hosaka, ma ha messo in piedi un doppio gioco a vantaggio della Maas Biolabs.
Il narratore Di lui non si conosce il nome. Innamorato di Sandii, nonostante il suo tradimento. La aspetta inutilmente nel New Rose Hotel nei pressi dell'aeroporto internazionale di Narita, braccato dai killer dell'Hosaka.
Fox professionista dell'estrazione di talenti. Muore assassinato dall'Hosaka, come ritorsione per il presunto tradimento.
Hiroshi Yomiuri Talentuoso biologo sotto contratto per la Maas Biolabs. Diserta a vantaggio della concorrenza, ma muore ucciso dalla stessa Maas.
In un futuro prossimo le grandi multinazionali dominano l'economia mondiale. Nella logica di una spietata concorrenza, L'Hosaka è determinata a sottrarre alla rivale Maas Biolabs il suo scienziato più prestigioso, il giapponese Hiroshi. X e Fox sono gli specialisti in questo tipo di defezioni. Per avvicinare Hiroshi i due protagonisti si avvalgono della collaborazione di Sandii, una giovane prostituta di origine italiana.
Le cose sembrano andare per il meglio finché, una volta eseguito il trasferimento, un'epidemia fulminante uccide Hiroshi e altri importanti scienziati dell'Hosaka. A fare il doppio gioco è stata Sandii, ingaggiata fin dal principio dalla Maas Biolabs che aveva deciso di sacrificare il suo scienziato più importante per eliminare in un solo colpo tutti quelli della concorrente Hosaka. Braccati dai sicari dell'Hosaka, Fox rimane ucciso mentre X si rifugia in un hotel a capsule nei pressi dell'aeroporto di Tokyo, il New Rose Hotel, in attesa che il suo destino si compia. https://it.wikipedia.org/wiki/New_Rose_Hotel_(film)
Cento anni fa, il 20 ottobre 1914, nasceva a Castello nei pressi di Firenze (allora era una frazione di Sesto Fiorentino) Mario Luzi. Coetaneo di Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi, Luzi negli anni Trenta fu uno dei protagonisti dell’ermetismo fiorentino: la definizione critica allude a una poesia preziosa e sonora, arcana e febbricitante, legata almeno in parte alla grande matrice del surrealismo.
È curioso che quella etichetta di ermetico gli sia rimasta attaccata tanto a lungo, quasi come una categoria esaustiva. Curioso perché Luzi, come del resto i due compagni di strada citati, Bigongiari e Parronchi, ebbe modo di compiere un lunghissimo viaggio poetico, che lo portò a riattivare zone della tradizione e possibilità espressive ben lontane da quell’originaria esperienza. Essa, del resto, non è priva di fascino, né di interesse, abbeverandosi attraverso Leopardi anche al grande filone lirico della nostra poesia.
Del resto, nel libro dell’esordio di Luzi, La barca (1935), c’è già, accanto alla preziosità aerea di vari testi, qualche germe del futuro discorso di Luzi, del suo ragionare sulla complessità del mondo inteso come cosmo in divenire. Penso alla poesia più programmatica del libro, Alla vita, in cui si legge ad esempio: «Amici dalla barca si vede il mondo / e in lui una verità che procede / intrepida, un sospiro profondo / dalle foci alle sorgenti; / […]». Vero è, ad ogni modo, che nella Barca e nel seguente Avvento notturno (1940) prevalgono figure sparenti di giovinette («le fanciulle finitime dell’ombra»), il motivo della fragilità, il «dolore della giovinezza».
Più avanti, nel dopoguerra, Luzi avrebbe impugnato questi motivi, in particolare quello dell’evanescenza della vita, in raccolte impegnate a ridefinire lo statuto del poeta e della poesia. Il processo ha un primo compimento in una raccolta rocciosa e severa come Onore del vero (1957), titolo parlante come tanti altri del poeta. Qui si propone, dopo raccolte in qualche modo di transizione come Un brindisi (1946), Quaderno gotico (1947) e soprattutto Primizie del deserto (1952), una sorta di sorda resistenza all’onda del tempo, di sospensione sopra l’abisso, di tenacia nell’aderire al compito dell’essere nel mondo («[…] è qui / non altrove che deve farsi luce»).
Tra i testi lasciati inediti e infine raccolti in Lasciami, non trattenermi, c’è questo, intitolato (Desiderium collium aeternorum):
«È incredibile ch'io ti cerchi in questo o in altro luogo della terra dove è molto se possiamo riconoscerci. Ma è ancora un'età, la mia, che s'aspetta dagli altri quello che è in noi oppure non esiste.»(Da Aprile-amore, in Primizie del deserto)
Mario Luzi occupa un posto particolare nella famiglia dei cosiddetti ermetici e, insieme a Piero Bigongiari e a Alessandro Parronchi, si può dire che costituisca il culmine dell'ermetismo fiorentino.
La prima apparizione di Luzi avvenne alla Facoltà di Lettere dell'Università di Firenze dove scelse l'affiatato circolo di quel momento composto da alunni e professori che si ritrovavano per parlare e discutere senza che si avvertisse la questione degli anni o della educazione. Un clima serio e sereno al quale il giovane e timido Luzi partecipava. Luzi viveva a quei tempi in famiglia ed era arrivato alla letteratura che aveva avuto partita vinta sulla sua prima scelta universitaria, la Facoltà di Legge.
Il tema che domina nella poesia di Luzi è quello della celebrazione drammatica dell'autobiografia dove viene messo in risalto il drammatico conflitto tra un "Io" portato per le cose sublimi e le scene terrestri che gli vengono proposte. https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Luzi
Robinson Crusoe è l'unico sopravvissuto a un naufragio su un'isola ostile e misteriosa dove il suo unico compagno è il cane di bordo, Tenn. Robinson ha disimparato persino a sorridere, talmente è solo e sempre impegnato a mantenere l'ordine nei "suoi" possedimenti. Almeno finché non capita sull'isola il "buon selvaggio" Venerdì, che è sempre di buon umore, sa sorridere di se stesso e insegna a Robinson a vedere la vita da un nuovo punto di vista, più autentico e primitivo. Una civiltà che distrugge la natura in modo inesorabile, una cultura che considera il diverso da sé soltanto come una risorsa da sfruttare: i problemi che Tournier mette in scena non sono né semplici né scontati. Ma il libro si legge anche come un'avventura, magica e affascinante, che coglie tutta la complessità dei rapporti umani, e mette in chiaro una volta per tutte che la presenza del "diverso" nella società è non solo utile, ma indispensabile. Età di lettura: da 10 anni. https://www.illibraio.it/libri/michel-tournier-venerdi-o-la-vita-selvaggia-9788884514547/
Lasciate Baglioni alle sue logore magliette fine e ai suoi legnetti di cremino, Vasco ai suoi sballi provinciali da rockstar un po' imbolsita, Adelmo Fornaciari al suo blues lievemente risaputo, De André e De Gregori ma anche Ivano Fossati alle loro involuzioni intellettualistiche, le Pausini e i Vallesi alle loro canzoni seriali. Gettate pure via tutta la canzone italiana contemporanea (ma non dimenticate che comunque è la migliore del mondo, proprio perché è pasticciona, manipolata, fabbricata, confezionata, artefatta), e che cosa vi resterà? Non ditemi che ascoltate cose molto metalliche, e nemmeno avanguardia inglese, o produzioni elitarie d'oltreoceano. Non scherziamo: voi ascoltate Lucio Battisti. (...) Se avete comprato questo libro, non potete nascondere a nessuno che Lucio è ancora la vostra passione, in tutti i sensi, come amore e come pentimento. E allora in queste pagine troverete tutto quello che occorre per riaccendere la passione. Il passato, il presente. Le frasi celebri, i giudizi più matti, gli episodi più famosi, la discografia. Forse, se siete gente che ha costruito un archivio monumentale, che ha messo in pesanti carpette tutti i ritagli di giornale sul tema Battisti, potete buttare via ogni cosa. Dalla prefazione di Edmondo Berselli.
In totale, come si riporta nel libro, Battisti ha interpretato 105 canzoni firmate con Mogol (gran parte di esse hanno un posto di grandissima rilevanza nella storia della musica leggera italiana), 12 con la moglie sotto lo pseudonimo di Velezia, 40 con Panella, e 3 di altri autori. Più una trentina di altre canzoni scritte per altri cantanti.
Renzo Arbore paragona la creatività di Battisti a quella di Gershwin e di Michele Serra, e scrive:
Don Giovanni ridimensiona gran parte della musica leggera degli ultimi dieci anni.... il mio voto è dieci e lode. La sua invenzione melodica è enorme. La frase musicale finisce sempre in un modo sorprendente, lasciandoti sospeso nel vuoto, in una vertigine(...) La scelta dei testi è geniale. Molto meglio di Mogol. Io credo che L'Apparenza sia l'opera di un genio, o più probabilmente di due (...), dico genio pensando a chi sa generare miracoli, inventare cose che nessuno ha potuto inventare prima. Come artefice di una illuminazione formidabile che per un attimo ci porta via o porta via gli altri.
«Sulle labbra della donna rimane l'ombra di un sapore che la costringe a pensare "acqua di mare, quest'uomo dipinge il mare con il mare"»
Oceano mare è un romanzo di Alessandro Baricco del 1993, tra i più noti dell'autore. Diviso in tre libri – Locanda Almayer, Il ventre del mare e I canti del ritorno – è caratterizzato da un clima onirico e da personaggi estremamente surreali.
Il luogo principale in cui si svolge la vicenda è la Locanda Almayer, che Baricco prende in prestito dallo scrittore Joseph Conrad e nella quale tutti i personaggi convergono, ognuno con il proprio passato ed i propri timori. Il tema del mare, con il suo valore magico, taumaturgico, ma anche terribile, viene analizzato sotto molteplici sfaccettature attraverso la storia dei singoli personaggi: dalla giovane Elisewin, malata di ipersensibilità e che ha paura di tutto e di tutti, al professor Bartleboom e i suoi studi sui limiti, fino al pittore Plasson, che cerca gli occhi del mare e che per dipingerlo usa esclusivamente l'acqua marina, raffigurando vedute oceaniche su tele che restano ostinatamente bianche. Fra di loro una bellissima donna, Madame Deverià, mandata in quel luogo dal marito perché "guarisca" dalla malattia dell'adulterio, e Padre Pluche, un sacerdote che accompagna Elisewin nel suo viaggio fin dalle Terre di Carewall.
Nel secondo dei tre libri che compongono il romanzo, "Il ventre del mare", si fa riferimento al naufragio della fregata francese Méduse, naufragata al largo dell'attuale Mauritania nel 1816. A seguito del naufragio parte dell'equipaggio e dei passeggeri, 147 in totale, cercarono la salvezza a bordo di una zattera, su cui si scatenerà uno scenario di morte, desolazione, abbandono, sofferenza che porteranno al cannibalismo. Il tema era stato già affrontato dal pittore romantico francese Théodore Géricault nel suo dipinto "La zattera della Medusa". In particolare Baricco incentra questa parte del suo racconto sulle figure di Savigny, un medico francese dell'equipaggio, e di un marinaio che nella triste avventura della zattera perderà la donna amata. Tramite un'efficace divisione narrativa l'autore mostra i punti di vista dei due uomini durante il loro naufragio. Nel terzo libro Baricco mostra il destino di ognuno dei personaggi finora presentati e che alloggiano presso la locanda.
«Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare – il mare – nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord.
«Sto per compiere cent'anni, e ho visto cambiare tutto, persino la posizione degli astri nell'universo, ma non ho ancora visto cambiare nulla in questo paese»
L'amore ai tempi del colera (El amor en los tiempos del cólera) è un romanzo dello scrittore colombianoGabriel García Márquez, Premio Nobel per la letteratura pubblicato nel 1985 in lingua spagnola con una tiratura milionaria, traduzioni quasi immediate in molte altre lingue ed enorme successo di pubblico.[1] Intento dell’autore durante la lavorazione era “scrivere un romanzo del XIX secolo come si scriveva nel XIX secolo
Personaggi
Florentino Ariza è il protagonista del romanzo. Si tratta di un uomo dal carattere malinconico, che si veste in maniera austera con un completo in velluto nero, occhiali da vista dalle lenti spesse, occhi spaventati. All'inizio della storia è impiegato telegrafista, poi intraprende la carriera all'interno della Compagnia Fluviale dei Caraibi, e ne diviene proprietario quando lo zio León XII lo nomina erede universale. Sebbene si senta sempre legato a Fermina Daza, con la quale ha avuto un rapporto amoroso di natura prevalentemente epistolare da giovane, ha diverse amanti nel corso della sua vita, attratte dal suo bisogno d'amore. Il suo cuore apparterrà solo a Fermina.
Tránsito Ariza è la madre di Florentino Ariza, nato da una relazione clandestina con un uomo sposato. Gestisce una merceria e un banco dei pegni. Viene descritta come una madre amorevole, che segue tutte le peripezie amorose del figlio, offrendogli la propria esperienza sentimentale e il proprio supporto. Non si sposerà mai e morirà dopo aver completamente perduto la memoria.
León XII è lo zio di Florentino Ariza. Ha cinque figli: quattro maschi e una femmina. I maschi muoiono tutti prematuramente, la femmina non è ritenuta adatta alla carriera manageriale. Per tale motivo, Léon XII affiderà la Compagnia Fluviale dei Caraibi al nipote Florentino.
Fermina Daza è la donna amata sia da Florentino Ariza sia da Juvenal Urbino. Nel libro viene tratteggiata come una fanciulla dal carattere forte, altera, testarda e orgogliosa, oltre che bellissima. Cresce senza madre, della quale trova un surrogato nella zia Escolástica, e con il padre, uomo dal carattere altrettanto imperioso, con il quale avrà sempre un rapporto contrastato. L'altro affetto familiare che ha al mondo è costituito dalla cugina e confidente Hildebranda. Crescendo diventa una donna elegante e di classe, temuta e corteggiata socialmente, osteggiata dalla suocera, ma adorata dal marito. Insieme formano una coppia solidissima e armoniosa, arbitra di ogni evento storico e mondano, filantropica e colta, ma non priva di contrasti, rappresentati perlopiù da piccole incomprensioni quotidiane e da un tradimento del dottor Urbino, che tuttavia riescono a superare a prezzo di una lontananza di tre anni. Una volta vedova, dapprima allontana e poi lascia avvicinare Florentino Ariza, complice anche il sospetto di un tradimento del defunto marito con una sua cara amica; anche nel rinnovato amore senile rimane tuttavia fedele a se stessa, al suo carattere "da mula d'oro", come la definì una volta suo padre.
Era inevitabile: l'odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì non appena entrato nella casa ancora in penombra, dove si era recato d'urgenza a occuparsi di un caso che per lui aveva smesso di essere urgente già da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e suo avversario di scacchi più compassionevole, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro d'oro.
Era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato.
Ma era lì. Voleva trovare la verità, e la cercava con un'ansia appena paragonabile al terribile timore di trovarla, sospinta da un vento incontrollabile più imperioso della sua alterigia congenita, più imperioso persino della sua dignità: un supplizio affascinante.
[Gabriel García Márquez, L'amore ai tempi del colera, traduzione di Angelo Morino, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano]
L'amore ai tempi del colera (Love in the Time of Cholera) è un film del 2007 diretto da Mike Newell, adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Gabriel García Márquez, che racconta l'infinita storia d'amore tra Florentino Ariza e Fermina Daza, che attende 51 anni, 9 mesi e 4 giorni per concretizzarsi, dal 1879 agli anni '30.
Negli Stati Uniti il film è uscito il 16 novembre 2007, mentre in Italia è uscito il 21 dicembre 2007.
Cartagena, 1879. Florentino Ariza è un giovane poeta che lavora come telegrafista per Lotario Thugut, il quale lo incarica di consegnare un telegramma alla famiglia Daza, appena arrivata in città. Una volta arrivato alla residenza della famiglia Daza, Florentino incrocia lo sguardo con la bella Fermina ed è immediato colpo di fulmine. Il ragazzo nomina la ragazza la sua "Dea Incoronata" e, estasiato dalla passione, inizia un rapporto epistolare con Fermina, che man mano sembra ricambiare i suoi sentimenti. Ma quando il padre di Fermina, Lorenzo Daza, scopre le loro lettere, decide di dividerli, sperando in qualcosa di meglio per la sua unica figlia, così la manda a vivere con la cugina Hildebranda. Passano gli anni, e mentre il paese è sconvolto dalla Guerra Civile e dal colera, Florentino ormai divenuto un uomo continua a disperarsi aspettando la sua amata.
Una volta tornata a Cartagena, Fermina si ritrova faccia a faccia con Florentino, che le rinnova il suo amore, ma la ragazza toglie ogni speranza all'uomo definendo il loro amore un'illusione. Mentre Florentino soffre per il perduto amore, Fermina, con il favore del padre, accetta la corte dell'affascinante medico Juvenal Urbino, che in seguito sposa. Mentre Fermina parte per una lunga luna di miele a Parigi, Florentino decide di aspettare la sua amata fino alla morte del marito, così inizia a lavorare nella Compagnia Fluviale gestita dallo zio, Don Leo, e scrive lettere d'amore su commissione. Con la complicità della madre di Florentino, lo zio manda il nipote via per lavoro, sperando che questo possa aiutarlo a lenire il suo mal d'amore.
Nel malamente mondo non ti trovo, è un volume di poesie, scritte dal noto cantautore Mango, ed immagini fotografiche. Le canzoni di Mango, che nascono dal Mediterraneo per confluire nel pop-rock internazionale, si distinguono per la cura dei testi e la raffinata ricerca delle sonorità. Caratteristiche che ritroviamo pienamente anche nelle liriche qui raccolte – poesie quasi canzoni, tratte dall’officina del cantautore, e canzoni divenute testi letterari – che indagano il confine sottile tra musica e parole. Melodie che sembrano nascere da un paesaggio ancora antico, popolato da luci, oggetti e dettagli che da sempre ispirano il suo mondo poetico evocati, quasi in controcanto, dalle fotografie di Gianluca Simoni che impreziosiscono il volume. http://www.mango.it/
Lupo lucano Barba incolta, apparente corona di spine più che rilascio di carezza. Silenzio appeso alle braccia appesantisce i secoli spostando la storia. I personaggi spariscono, la scena rimane, come un mattino che non sa camminare.