Camilla non sa proprio quale sia il suo piatto preferito. Non ci ha davvero mai pensato, perché ciò che le basta è trangugiare la sua pasta all’olio e tornare a giocare. Così, si arma di taccuino e raccoglie informazioni dai vicini su quali siano i loro cibi preferiti. Lei assaggia un po’ di tutto e prende appunti, ma proprio non riesce a decidersi. Una sorpresa, però, l’attende a casa della nonna…
“Il piatto preferito di Camilla” porta la piccola protagonista ad esplorare tanti gusti che, combinati in modi diversi, creano piatti sempre nuovi, ma nessuno risulta essere il suo preferito… ma se lo fossero tutti?
Insieme al libro troverete un utilissimo opuscolo con qualche prezioso suggerimento su cosa fare e cosa non fare quando un bambino fa i capricci davanti al cibo.
La collana di narrativa “Le tartarughe marine” accompagna i bambini dall’infanzia alla preadolescenza, attraverso storie che appassionano e incoraggiano a uscire dal guscio simbolico di se stessi per aprirsi con fiducia al mondo.
L'opera, pubblicata nel 1929, è il quarto romanzo dell'autore. Narra, utilizzando soprattutto le tecniche del dialogo e del flusso di coscienza, alcuni episodi nella vita dei membri di una vecchia famiglia del Sud, i Compson, una volta ricca e ora in decadenza.
« Certe giornate verso la fine di agosto a casa sono così, l'aria sottile e pungente come questa, con qualcosa di mesto e nostalgico e familiare. L'uomo è la somma delle sue esperienze climatiche, diceva il babbo. L'uomo è la somma di tutto quello che vuoi. »
Il romanzo è ambientato nella contea immaginaria di Yoknapatawpha ed è suddiviso in quattro parti. Protagonista del romanzo è una decadente famiglia bianca del sud degli Stati Uniti. La madre Caroline è sposata a Jason Compson III; i coniugi Compson hanno quattro figli: Quentin, Candace (Caddy), Jason e Benjamin e una nipotina, figlia di Caddy, chiamata anche lei Quentin, in memoria dello zio.
I capitoli del romanzo racchiudono ciascuno una giornata.
Il primo capitolo tratta del 7 aprile 1928;
il secondo del 2 giugno 1910.
Il terzo il 6 aprile del 1928;
l'ultimo racconta dell'8 aprile 1928.
Per ogni capitolo cambia la voce narrante.
La prima è quella di Benjy Compson, il figlio ritardato mentale di 33 anni.
La seconda parte si svolge 18 anni prima delle altre ed è raccontata da Quentin Compson, all'epoca studente ad Harvard, che si suicida a causa di una serie di eventi che coinvolgono la sorella Caddy.
La terza parte riflette il punto di vista del loro cinico fratello Jason,
mentre la quarta è raccontata in terza persona e basata sulle impressioni di Dilsey, la serva nera più anziana tra quelli al servizio della famiglia. Dilsey, l'instancabile mami della famiglia Compson ha tre figli: Versh, Frony, e T. P.; Frony a sua volta ha un figlio, Luster, che si occupa di Benjamin.
Aurora e Caterina vivono con nonno Osvaldo e i genitori in un condominio grigio e triste e da sempre odiano mangiare la verdura. Un bel giorno, però, un uccellino deposita un seme in un vaso dimenticato sul balcone, da cui spunta una piantina che, con l'aiuto del nonno, le bambine fanno crescere bella e rigogliosa... Età di lettura: da 5 anni.
Anna Lavatelli è nata e risiede a Cameri (Novara). Laureata in Filosofia, ha insegnato Lettere nelle scuole medie. Come scrittrice si è cimentata nei generi più diversi, con una particolare attenzione alle tematiche della società che più influenzano la vita dei ragazzi. Nel 2005 ha vinto il “Premio Andersen - Il Mondodell’Infanzia” come miglior autrice. https://www.ibs.it/benvenuto-pomodoro-ediz-illustrata-libro-anna-lavatelli/e/9788866991069#a__abstract
Un vero amore non ha bisogno di parole (basta una zampa).
Certi incontri ti cambiano la vita. Possono ben "dirlo" i cani e i gatti protagonisti di queste storie, che hanno conosciuto una seconda chance quando, dopo essere stati accolti in un rifugio londinese per animali abbandonati, sono stati adottati da nuovi proprietari amorevoli.
Ma la fortuna è stata ancora maggiore proprio per le persone che hanno dato loro una casa, perché grazie a questi amici a quattro zampe sono riusciti a superare momenti difficili, a vincere la solitudine, a combattere una malattia.
E, in qualche caso, a trovare l'amore... Queste storie tenerissime, buffe, commoventi, persino romantiche ci dimostrano che, quando aiutiamo un trovatello, siamo noi a ricevere il bene più grande: il loro affetto incondizionato, una gratitudine che non ha bisogno di parole.
Battersea Dogs & Cats Home è il più antico e famoso rifugio di Londra per cani e gatti abbandonati o smarriti. Il Centro, che nel 2010 ha festeggiato il 150° anniversario, si prende cura ogni anno di oltre 9000 ospiti a quattro zampe. I membri dello staff hanno raccolto in questo volume le storie più toccanti di cui sono stati testimoni, raccontandole dal punto di vista dei protagonisti-umani. Storie che hanno già toccato il cuore di tantissimi lettori e lettrici inglesi.
Madame Bovary. Mœurs de province, abbreviato normalmente in Madame Bovary, è uno dei romanzi più importanti di Gustave Flaubert, pubblicato dapprima a puntate sul giornale «La Revue de Paris» tra il 1 ottobre e il 15 dicembre 1856. La storia è quella della moglie di un medico di provincia, Emma Bovary, che allaccia relazioni adulterine e vive al di sopra dei suoi mezzi per sfuggire alla noia, alla banalità e alla mediocrità della vita di provincia. Si tratta di una delle maggiori opere della letteratura francese e mondiale.
Appena uscito, il romanzo fu attaccato dai pubblici inquirenti del Secondo Impero per immoralità e oscenità. Il processo a Flaubert, iniziato nel gennaio 1857, rese la storia immensamente famosa. Dopo l'assoluzione dell'autore il 7 febbraio 1857, il romanzo fu pubblicato in libro, in due volumi, il 15 aprile 1857 presso Michel Lévy frères. La prima tiratura di 6750 copie ebbe immediato successo per l'epoca: fu esaurita in due mesi. È considerato uno dei primi esempi di romanzo realista. Una delle prime edizioni fu illustrata dal pittore Charles Léandre.
L'opera attinge alla vera arte nei dettagli e negli schemi nascosti: si sa che Flaubert era un perfezionista della scrittura e si faceva un vanto di essere alla perenne ricerca de le mot juste (la parola giusta).
Fu un amico a sollecitare Flaubert - dopo le stroncature ricevute per La tentazione di Sant'Antonio - a servirsi della storia di Eugène Delamare, un giovane medico dell'ospedale di Rouen, già allievo del padre di Flaubert: divenuto vedovo, sposò Delphine, figlia di un contadino normanno. Giovane e bella donna, dai gusti stravaganti, si stufò presto della vita di provincia offertale come moglie del medico, che disprezzava e tradiva continuamente. Egli, tuttavia, l'adorava e aveva sempre subíto senza reagire; lei spendeva cifre folli in abiti e gioielli finché, travolta dai debiti, si uccise avvelenandosi, ad appena 27 anni. Rimasto solo con la figlia, anche il vedovo depresso si uccise. Delle vicende accadute alla giovane donna di provincia, e del suo suicidio nel 1848, Flaubert si interessò subito: il caso di cronaca era argomento sulla bocca di tutti in Francia. L'idea di chiamarla Madame Bovary - disse Flaubert - gli venne durante un'escursione alle cascate del Nilo, in compagnia dell'amico Maxime Du Camp nel 1849.
Dopo 4 anni e mezzo di duro lavoro, Flaubert aveva scritto 4500 fogli manoscritti, che poi tagliò fino a ridurre il libro di circa la metà, e che consegnò a Du Camp. L'opera fu sottoposta ai redattori della rivista, i quali operarono altri tagli, eliminando 71 passaggi e una miriade di parole considerate troppo brutali.
Nel 1949, Gabrielle Leleu e Jean Pommier ricostruirono ingegnosamente la prima versione integrale non censurata di Madame Bovary, liberandola dalle censure e dai tagli redazionali. In Italia, la traduzione di questa versione è apparsa nel 2007, a cura di Rosita Copioli, per le Edizioni Medusa.
«Eravamo nell'aula di studio, quando il Rettore entrò, seguito da un nuovo in abiti borghesi e da un inserviente che portava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono, e ognuno s'alzò, come sorpreso nel lavoro.»
«... e il linguaggio
umano è simile ad un tamburo rotto su cui battiamo melodie per farci
ballare gli orsi, mentre ciò che desideriamo è fare musica che commuova
le stelle.»
I suoi personaggi appartengono agli strati più bassi della società francese dell'Ottocento, i cosiddetti "miserabili" - persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà - la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, né con Luigi XVIII. È una storia di cadute e di risalite, di peccati e di redenzione. Hugo santifica una plebe perseguitata, ma intimamente innocente e generosa; la legge, che dovrebbe combattere il male, spesso lo incarna, come l'inesorabile personaggio di Javert. Il grande eroe è il popolo, rappresentato da Jean Valjean, fondamentalmente buono e ingiustamente condannato per un reato insignificante. Hugo riassunse così l'opera: «Il destino e in particolare la vita, il tempo e in particolare il secolo, l'uomo e in particolare il popolo, Dio e in particolare il mondo, ecco quello che ho cercato di mettere in quel libro». Nel racconto fluviale ci sono descrizioni e giudizi di grande rilevanza storica, permettendo di collocare i personaggi nel loro contesto storico-sociale: la battaglia di Waterloo, l'architettura della città di Parigi, la visione sul clero e i monasteri dell'epoca, le opinioni sulla società e i suoi mali, il quadro plumbeo della Francia della Restaurazione
Il testo si apre con le vicissitudini del vescovo di Digne in data 1815, il monsignor Charles-François-Bienvenu Myriel, che ricopriva questa posizione già dal 1806. Considerato un giusto per via della sua rettitudine e del suo interesse per i poveri, proprio per questo non è ben accetto dagli altri porporati, ancora sostenitori del regime pre-rivoluzionario. È lui il personaggio principale del libro primo.
Jean Valjean, giovane potatore a Faverolles, dovendo provvedere alla sorella e ai figli di questa, per disperazione si trova costretto a rubare un misero tozzo di pane; per questo "crimine" viene ingiustamente e abominevolmente condannato a ben cinque anni di lavori forzati nel carcere di Tolone, pena che viene allungata di ulteriori 14 anni a seguito di vari, più che legittimi, tentativi falliti di evasione. Viene infine liberato dal carcere a seguito di un'amnistia nei primi giorni del 1815, dopo 19 anni di reclusione; in questa data egli ha 46 anni, si può perciò comprendere che l'uomo fosse entrato in carcere a 27 (nel 1796, ovvero ancora durante la Rivoluzione) e che fosse nato nel 1769.
All'uscita dal carcere Jean Valjean si trova a vagabondare per diversi giorni attraverso il sud-est della Francia, vedendosi chiudere in faccia ogni alloggio ed ogni opportunità a causa del suo passato di galeotto, confermato dal passaporto giallo che ha con sé, che lo identifica come un reietto della società. Gli è fatto obbligo di presentare il documento ovunque lui si rechi. Questa situazione disperata finisce per esasperare il risentimento e l'odio nei confronti della società e di tutto il genere umano fino a spingerlo ad una fredda malvagità d'animo. Nel frattempo, giunto vagabondando nella città di Digne, ha la fortuna di imbattersi nel vescovo della città, Monsignor Myriel, ex aristocratico rovinato dalla Rivoluzione francese e costretto all'esilio, trasformatosi, dopo una crisi spirituale, in un pio e giusto uomo di Chiesa dall'eccezionale altruismo.
Lontano dalla figlia adottiva, solo e depresso, il sessantaquattrenne Jean Valjean inizia a risentire quasi improvvisamente del peso dei suoi anni, ammalandosi ed indebolendosi sempre più. Quando, nel giugno 1833, Marius viene fortuitamente a sapere, proprio grazie al malvagio Thénardier -che dal canto suo meditava una ennesima truffa ai danni del giovane- di dovere la vita a Jean Valjean, fa appena in tempo a correre da lui con Cosette per assistere alla sua morte e a dare il tempo al vecchio di vedere un'ultima volta l'amata figlia adottiva. Valjean esala così l'ultimo respiro, sventurato ma lieto, significativamente illuminato dalle candele poste sui candelabri donatigli dal vescovo di Digne, nel cui esempio ha vissuto la sua intera vita di galeotto redento.
Stando a quanto si apprende nell'ultimo paragrafo del romanzo, la sua tomba viene posta nel cimitero del Père-Lachaise, anonima se non per una iscrizione tracciata a matita che recita:
(FR)
«Il dort. Quoique le sort fût pour lui bien étrange,
Il vivait. Il mourut quand il n'eut plus son ange;
La chose simplement d'elle-même arriva,
Comme la nuit se fait lorsque le jour s'en va.» (IT)
«Riposa: benché la sorte fosse per lui ben strana,
Presentato in due parti, la prima pubblicata il 3 aprile 1862, la seconda il 15 maggio dello stesso anno, il romanzo raccolse reazioni contrastanti. La stampa, soprattutto quella vicina al governo di Napoleone III, attaccò duramente l'opera, che venne giudicata a volte immorale, a volte troppo sentimentale e, per alcuni, troppo compiacente e celebrativa dei moti rivoluzionari[3]. Arthur Rimbaud esaltò invece il romanzo, parlandone come di un vero poema.
Per contro, il romanzo fu un enorme successo di pubblico. Oltre ad essere letta ed apprezzata da migliaia di lettori nella madrepatria, nello stesso anno della sua prima pubblicazione venne tradotta in molte lingue europee (fra le prime edizioni vi furono quelle in lingua italiana, inglese, portoghese e greca), che ricevettero ovunque uno straordinario apprezzamento popolare
Prodotto dalle società Mandalay Entertainment e TriStar Pictures, il film venne girato ai Barrandov Studios di Praga, nella città stessa (la casa di Valjean e Cosette si trova a Praga ed era già stata utilizzata come casa di Mozart nel film Amadeus) e a Parigi.
Sorelle Materassi è un romanzo scritto da Aldo Palazzeschi e pubblicato dall'Editore Vallecchi nel 1934. L'autore sottopose il testo originario del '34 a una lunga revisione stilistica che giunse a conclusione solo nel 1960 con l'edizione della stesura definitiva.
Ambientato nei primi anni del XX secolo a Coverciano, sobborgo di Firenze, narra la vicenda di quattro donne che vivono una vita tranquilla e isolata. Tre di esse (Teresa, Carolina e Giselda), sono sorelle: le prime due sono nubili, la terza è stata da loro accolta essendo stata respinta dal marito. Teresa e Carolina sono abilissime sarte e ricamatrici e vivono cucendo corredi da sposa e biancheria di lusso per la benestante borghesia fiorentina. Giselda, delusa dalla vita, tende all'isolamento e si lascia tormentare da un rabbioso risentimento. Una dose di popolaresco ottimismo e di serena saggezza è introdotta nella vita familiare dalla fedele domestica Niobe che tranquillamente invecchia insieme alle padrone.
Tutto sembra scorrere su tranquilli binari quando nella casa giunge Remo, il giovane figlio di una quarta sorella morta ad Ancona. Bello, pieno di vita, spiritoso, il giovane attira subito le attenzioni e le cure delle donne i cui sentimenti parevano addormentati in un susseguirsi di scadenze sempre uguali. Istintivamente Remo si rende conto di essere l'oggetto di una predilezione venata di inconsapevole sensualità e approfitta della situazione ottenendo immediata soddisfazione a tutti i suoi desideri e a tutti i suoi capricci. Il sereno benessere della vita familiare comincia ad incrinarsi: Remo spende più di quanto le zie guadagnino con il loro lavoro e le sue pretese non hanno mai fine. Giselda è l'unica a rendersi conto della situazione ma i suoi avvertimenti rimangono inascoltati. A poco a poco Teresa e Carolina spendono tutti i loro risparmi per soddisfare le crescenti esigenze del nipote, poi iniziano a indebitarsi e infine sono costrette a mettere in vendita la casa e i terreni che avevano ereditato dal padre. Alla fine, sopraffatte dall'incombente miseria, le sorelle acconsentiranno a firmare una cambiale con cui ipotecano completamente tutti i loro guadagni.
In seguito Remo lascerà la casa delle zie e si fidanzerà con una ricca ereditiera americana. Tornato a Coverciano per il matrimonio, confesserà velatamente alle sorelle Materassi che in realtà il suo amore per la ragazza è del tutto interessato, e che probabilmente la lascerà una volta che non gli servirà più. Le zie mostrano freddezza nei confronti della fidanzata di Remo, e partecipano alle nozze con riluttanza e gelosia, confortate esclusivamente dal pensiero che prima o poi Remo tornerà a stare con loro. Subito dopo il matrimonio il ragazzo parte e non tornerà mai più a Coverciano. Teresa e Carolina, ormai cadute in disgrazia e povertà, riescono a tirare a campare svolgendo piccoli lavori di sartoria. Giselda, l'unica ad aver capito quanto Remo le abbia sfruttate, è rimasta con loro per spirito di carità, ma abbandona la casa in seguito a un furioso litigio che ha come oggetto il nipote. Finalmente rassegnate al fatto che Remo non tornerà mai più, Teresa, Carolina e Niobe vivranno nel triste ricordo del ragazzo, ancora pregno di amore nonostante il male che questi ha fatto loro.
Le sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi -1972 con delle davvero grandiose Rina Morelli-Sarah Ferrati - Nora Ricci - e con Giuseppe Pambieri-Ave Ninchi-Roberto Benigni (in una comparsata nella prima puntata)
"Chi si collochi nel punto più alto, occupato un tempo dagli spettatori, non può fare a meno di confessare che forse mai il pubblico d’un teatro ha avuto innanzi a sé uno spettacolo simile. A destra, sopra rupi elevate, sorgono dei fortilizi; laggiù in basso la città (…). Lo sguardo abbraccia inoltre tutta la lunga schiena montuosa dell’Etna, a sinistra la spiaggia fino a Catania, anzi fino a Siracusa (…). Se poi da questo spettacolo si volge l’occhio (…), ecco a sinistra tutte le pareti della roccia, e fra queste ed il mare la via che serpeggia fino a Messina, e gruppi e ammassi di scogli nello stesso mare, e la costa della Calabria nell’ultimo sfondo (….). Non è da dimenticare che abbiamo goduto la vista di questa bella spiaggia sotto il cielo più puro, dall’alto d’un balconcino, fra rose che occhieggiavano e usignoli che cantavano”.
Sono annotazioni queste che Johann Wolfgang Goethe scrive facendo dal 2 aprile al 15 maggio del 1787 il “tour” in Sicilia e le riferisce a Taormina, l’ammaliante cittadina che, fondata da coloni greci, si attestarono sulle pendici del vicino colle “dalla forma di toro”, a strapiombo sul mare Jonio (Il nascente centro abitato prese il nome di “Tauromenion”, toponimo composto da “Toro” e dalla forma greca “Menein” che significa rimanere). Goethe compie il suo viaggio in Italia dal 1786 al 1788 e fa il suo resoconto nel libro che, appunto, ha come titolo “Viaggio in Italia”. L’edizione in mio possesso è quella della casa editrice Sansoni (Firenze, 1959), recante la raffinata edizione di Orio Vergani, il quale, sin dalle prime pagine si pone domande allo scopo di far luce sulle motivazioni che indussero Goethe, sotto il falso nome del signor Möller, a scoprire l’Italia e darne la sua immagine attraverso lettere spedite dalle tappe del suo percorso, datate con l’indicazione del giorno della settimana e del mese.
Del resto, lo stile è abbastanza confidenziale, egli descrive parlando, racconta ed è come se usasse il pennello. Il fascino del mito, sicuramente dovette agire nel suo animo irrequieto: e di certo quel mito che, dopo la discesa agli inferi, conduce alla luce, alla rinascita
“della lucente e sempre rinnovata Demetra”
Anche il racconto omerico di Nausicaa egli reinterpreta come pellegrino che trova una poetica disposizione di spirito. Le pagine sulla Sicilia sono suggestive, luminose, animate dallo sguardo che si apre alla vista del mare e dei monti. A Palermo resta incantato dalla visione di monte Pellegrino:
“il più bel promontorio del mondo”.
E tanta dolcezza e mitezza gli comunicava l’aria profumata, anche se non manca di rilevare la presenza d’immondizia per le strade. Il materiale è vario e appetitoso, fresco e vivace. E vale la pena di accennare alla vista che egli compie alla caverna dove furono scoperte le ossa di santa Rosalia che lì si era chiusa in romitaggio, o a fermare l’attenzione sulla visita che egli, da massone, fa nell’abitazione del leggendario Cagliostro visto come
“uomo straordinario”.
Si riterrebbe significativo soffermarsi sui ritratti di Alcamo e di Segesta, di Girgenti (l’attuale Agrigento), che gli si mostra con l’esuberante bellezza della “valle dei templi”, e di tante altre cittadine, i cui campi fertili e verdeggianti abbondano di buone messi. A Catania visita il palazzo Biscari, il Convento dei Benedettini e raggiunge l’Etna. Il viaggio termina nella Messina disastrata dal sisma. E a questo punto è doveroso riportare la sintesi delle sue impressioni sulla scoperta dell’Isola, un “deserto di fertilità” capace di resistere alla “perfidia” del tempo, alle “violenze” della natura, alle “ostilità” dei conquistatori:
“Cartaginesi, greci, Romani e non so quante altre razze dopo di loro hanno costruito e hanno distrutto. Selinunte è metodicamente devastata; per rovesciare i templi di Girgenti non sono bastati due millenni; sono bastate poche ore, per non dir pochi istanti, per distruggere Catania e Messina”.
“Walden ovvero Vita nei boschi” è uno scritto autobiografico, in cui l’autore narra del rapporto tra uomo e natura. In questo particolare contesto, la natura viene vista dall’autore come una vera e propria fonte di benessere esistenziale. Non è vista come un semplice mezzo per arrivare al raggiungimento delle conoscenze ideali di ordine superiore.
L’uomo moderno per Thoreau, se vuole vivere felice, deve abbandonare tutta una serie di schemi sociali e provare a cercare verità e felicità nelle piccole cose. La nostra esistenza è troppo meccanica e ripetitiva. Ciò è dovuto alle conseguenze dei fenomeni dell’industrializzazione e dell’urbanesimo.
«Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Il fatto è che non volevo vivere quella che non era una vita a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa, volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.»
(Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi)
Walden ha avuto un grande successo nella controcultura statunitense. In particolare la Beat Generation ha visto nell'esperienza di Thoreau e nella sua forte volontà di un ritorno alla natura in contrasto con la crescente modernizzazione delle metropoli americane. Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Gary Snyder sono solo alcuni tra gli scrittori che si rifanno espressamente a Thoreau e al suo libro come esempi di libertà dalle convenzioni moderne.
Più in generale Walden è ritenuto uno dei primi romanzi ecologici ed ha influenzato il pensiero ecologico contemporaneo.
Andai nei boschi
perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali
della vita (…) per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto. (…)
Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita.
«Tra bestie malate, cuccioli teneri o fiere crudeli, che soffrono, attaccano, parlano esattamente come noi, ma senza morale a portata di mano come nelle favole classiche» - L'Espresso
I racconti di Megan Mayhew Bergman parlano di uomini e donne alle prese con le grandi scelte e i piccoli dilemmi di ogni giorno. La ricerca d'identità dei personaggi, il loro dibattersi per costruire relazioni d'amore solide e profonde si specchiano negli animali che abitano le loro vite. Protagonisti di "Paradisi minori" sono proprio gli animali - animali veri, amati o temuti, selvaggi o addomesticati. La nostalgia e il rimpianto di una donna si incarnano in un pappagallo che custodisce la voce della madre scomparsa; l'amore di una figlia per il padre raggiunge il culmine nella vana ricerca di un picchio in via d'estinzione; e l'istinto materno si esprime nella cura di un piccolo lemure invece che di una figlia ormai lontana. Dai boschi del Vermont alle paludi della Florida, Megan Mayhew Bergman posa il suo sguardo sul mondo e sulle sue creature, e racconta delle trappole di solitudine e dolore in cui cadiamo tutti, ma anche della folle ricerca d'amore che muove i fili delle nostre esistenze.
La saggezza delle streghe raccoglie gli ultimi poemi di John Giorno, i quali coprono un arco temporale dal 1994 (Just Say No to Family Values) al 2004 (Welcoming the Flowers). Potenziando il proprio afflato lirico, Giorno contempera con rinnovato vigore una tensione mistica proveniente dalla sua esperienza meditativa di buddista tibetano e un’inesausta urticante critica dei valori borghesi.
Tra le composizioni più recenti spiccano l’allegoria There Was a Bad Tree (2001), l’inno alla leggerezza e alla luce Everyone Gets Lighter (2002) e The Wisdom of the Witches (2003), il poema che dà il titolo alla raccolta ed è “ambientato” sulla rocca normanna di Castelmezzano in Lucania. La traduzione è del poeta Domenico Brancale; la cura è del critico cinematografico Jonny Costantino. In virtù del fatto che fin
dagli anni ‘60 applicò le intuizioni della Pop Art alla poesia, Giorno fu definito il “primo poeta pop” dall’amico William Burroughs.
«Allungai una mano sul mio ventre. Oddio. Che brivido. Che gioia. Il gelo non c’era più.» L’«evviva» di Fabianna per il corpo alfine ritrovato somiglia al fiocco rosa appeso sulla porta della camera d’ospedale dove Francesca, a 46 anni, è «rinata» donna. Mesi prima, quando aveva ancora l’aspetto di un uomo, aveva detto alla figlia Federica: «Vedi amore mio, la mia anima non è mai stata quella di un maschio, questo corpo non l’ho mai sopportato». E lei: «Coooosa? Tu mi rubi il padre». Poi, l’abbraccio dopo l’intervento.
«Sono una donna con il pene, un incontro tra donna e uomo» dice Valentina, sui documenti Marco, che fa la camalla nel porto di Genova. Da adolescente indossava abiti femminili all’insaputa dei suoi e nascondeva i tacchi a spillo nelle casse dello stereo. Gabriele, quando era Barbara, celava il seno sotto giubbotti diventati una seconda pelle. Presa la grande decisione, dopo anni di vita «congelata», stringe il primo legame solido con una dottoressa che è stata un «lui»: «Vogliamo un matrimonio silenzioso». «La nostra cultura prescrive che ci definiamo come maschio o femmina, io mi sento in divenire» racconta Porpora.
Questo libro narra le migrazioni di genere, la lotta misteriosa e appariscente delle persone transgender, entra in sala operatoria, cattura l’istante in cui il sesso svanisce, quando il pene è demolito e i tessuti per costruire la vagina attendono: «Se non fosse per il colore rosso della carne, Daniela potrebbe essere un angelo. Daniela è senza sesso».
«Provate a chiudere gli occhi per cinque secondi, respirate lentamente, e immaginate che, una volta riaperti, il vostro corpo sia quello di un topo, o semplicemente il corpo del sesso opposto al vostro» suggerisce Susanna. «Lo avete fatto? Il disagio che avete provato per quel piccolissimo istante immaginando una cosa così drammatica è quello che noi proviamo tutti i giorni. Non è divertente, vero? Ognuna di noi ha subito quel disagio per anni, altre per decenni, e voi, additandoci sul lavoro, per strada, non fate altro che aumentarlo, così da diventare dei carnefici spietati.» Sono vite offese dai pregiudizi che scuotono le nostre coscienze, dice Giovanni Bachelet. Voci sferzate dai rigori del gelo sociale che all’improvviso può allentarsi, svanire persino, se a un tratto, morbida, cade la neve.
E se la gentilezza fosse una minuscola ampolla trasparente che scappa fuori dal corpo insieme ad uno starnuto?
Questo è quello che succede a Piccolo Coniglietto (il più piccolo di sei fratelli), che un giorno in cui è molto arrabbiato, starnutisce la sua gentilezza in gelateria e la piccola ampolla viene catapultata in mezzo al pistacchio.
Per fortuna la gentilezza di Piccolo Coniglietto finisce nel gelato di una compagna di scuola, Leprotta, che intenerita da quella fragile ampolla decide di riportarla al suo amico.
Intanto Piccolo Coniglietto, che era già arrabbiato, senza la sua gentilezza diventa ancora più nervoso: risponde male alla mamma, è antipatico con i suoi fratelli ed è convinto che tutti siano arrabbiati con lui. E’ così arrabbiato che vuole essere lasciato solo anche quando Leprotta gli fa visita.
Riuscirà Leprotta a restituire la gentilezza a Piccolo Coniglietto?
Anche i bambini si arrabbiano e la loro rabbia spesso è ingestibile se non si è preparati ad affrontarla. Sgridare il bambino non serve, bisogna fargli capire che la gentilezza esiste e, forse, in qual momento è assente per qualche motivo che non dipende da loro.
Piccolo Coniglietto è arrabbiato e quando perde la gentilezza si sente ancora più arrabbiato, ma la mamma lo ascolta, cerca di capire e poi lo invita a chiedere scusa.
Un piccolo libro con un grande significato. da leggere ad alta voce o da soli a partire dai 6 anni.
Una canzone dedicata ad un vero resistente, il cabarettista ed autore satirico americano (ed ebreo) Lenny Bruce, uno che non stava zitto e che gliele cantava sembre chiare e forti al Potere, ai ricchi, agli ipocriti, ai guerrafondai, ai razzisti.
Fu per questo perseguitato, contro di lui per anni si accanirono gli sgherri in divisa amici del cardinale Spellman, il tetro arcivescovo di New York protagonista di The Cardinal di Tom Paxton.
Non riuscirono a ridurlo al silenzio.
Fu lui che nel 1966, a soli 40 anni, si chiamò fuori uccidendosi con una overdose di morfina.
I suoi nemici non ebbero pietà di lui nemmeno dopo morto: non appena rinvenuto il cadavere, la polizia fece entrare subito giornalisti e fotografi che per mezz’ora buona poterono immortalare il “perfido giudeo comunista” finalmente vinto.
L’amico Dick Schaap scrisse un breve necrologio su Playboy, la rivista per adulti che aveva pubblicato a puntate l’autobiografia di Bruce: “One last four-letter word for Lenny: Dead. At forty. That's obscene.”, “Un’ultima parola per Lenny Bruce, solo di quattro lettere: Morto. A quarant’anni. Questa è cosa oscena”, facendo riferimento alle diverse condanne per oscenità collezionate dal cabarettista durante la sua breve ed intensissima carriera.
Solo nel 2003 il governatore di New York George Pataki dichiarò infondate e decadute tutte le accuse giudiziarie mosse contro Lenny Bruce.
Sull'operato di Carlos Castaneda, se corrisponda a una realtà romanzesca o veritiera, si è espresso Octavio Paz, premio Nobel 1990 per la letteratura:
«Sono più interessato al lavoro di Castaneda, piuttosto che alle storie riguardo alla sua persona. A chi importa se Don Juan e Don Genaro esistettero veramente? Questo è "pensare povero". Ciò di cui mi interesso è il lavoro di Carlos Castaneda: idee, filosofia, paradigmi. Se i libri di Castaneda sono fantasia, sono i migliori libri di finzione che io abbia mai letto.»
I registri per l'immigrazione relativamente a Carlos Cesar Arana Castaneda indicano che egli nacque il 25 dicembre 1925 a Cajamarca in Perù. I medesimi registri mostrano che il cognome gli fu dato da sua madre Susana Castañeda Navoa. Il cognome appare con la lettera ñ in molti dizionari spagnoli, anche se i suoi più famosi lavori riportano una versione anglofona.
Nelle Conversazioni con Carlos Castaneda della giornalista Carmina Fort si afferma tuttavia che l'anno di nascita fosse il 1935, e che egli avrebbe vissuto i primi anni di vita a San Paolo del Brasile, dove avrebbe conosciuto le pratiche spiritiste autoctone.
Nei suoi libri, Castaneda descrive in prima persona quello che egli afferma essere la propria esperienza sotto la guida dello sciamano [[[Yaqui (popolo)|Yaqui]] chiamato don Juan incontrato nel 1960. Castaneda riferisce che egli fu individuato da don Juan Matus come in possesso della configurazione energetica del "nagual". Egli inoltre usò il termine nagual per descrivere quella parte della percezione che appartiene alla sfera del «non conosciuto» e ancora non conoscibile dall'uomo, così sottintendendo che don Juan Matus fosse l'elemento di connessione con il «non conosciuto» (a cui spesso Castaneda fa riferimento come «realtà non ordinaria»).
I suoi primi tre libri: A scuola dallo stregone, una via Yaqui alla Conoscenza (conosciuto anche con il titolo Gli insegnamenti di Don Juan), Una realtà separata e Viaggio a Ixtlan, furono scritti mentre Castaneda era ancora uno studente all'università. Castaneda scrisse questi libri come se fossero il diario delle sue ricerche, descrivendo l'apprendistato con uno sciamano tradizionale. Fu inizialmente acclamato per le esperienze descritte in questi libri, prima che iniziasse contro di lui una critica più accesa.
Nei primi due libri, Castaneda descrive come la «via Yaqui per la conoscenza» richieda l'uso di potenti piante indigene, come il peyote e la datura. Nel suo terzo libro, Viaggio ad Ixtlan, ribalta però la sua enfasi sul potere delle piante, affermando che Don Juan le ha usate su di lui per dimostrare che le esperienze fuori dalla vita conosciuta e ordinaria sono reali e tangibili, ma non sarebbero state necessarie se la sua mente fosse stata più fluida.
In seguito negò ogni utilizzo di droghe come la Datura per i propri propositi, ma solo di psichedelici. Affermò nei successivi libri che i deliranti possono inalterabilmente danneggiare la sfera luminosa di emanazioni del corpo energetico, così come il corpo fisico.
In Viaggio a Ixtlan, il terzo libro della serie, fa notare:
«La mia percezione del mondo attraverso l'effetto di questi psicotropi è stata così bizzarra ed impressionante che io fui costretto ad assumere che questi stati erano la sola via di comunicazione e apprendimento di ciò che don Juan stava cercando di insegnarmi. Questo assunto era erroneo.»
(Viaggio ad Ixtlan)
Il suo quarto libro, L'isola del Tonal, termina con Castaneda sul punto di saltare da un picco sopra un abisso, segnando così il suo passaggio da discepolo a uomo di conoscenza in quanto, invece di "morire" come avrebbe dovuto sfracellandosi sulle rocce, riesce a suo avviso "in qualche modo" a sopravvivere, a questo punto però "trasformato". Anche se non arriva a spiegare di più.
Gli insegnamenti di Don Juan. Una via Yaqui alla conoscenza (conosciuto anche come A scuola dallo stregone) è un libro dello scrittore peruviano, naturalizzato statunitense, Carlos Castaneda, resoconto delle proprie esperienze di apprendistato presso l'indiano yaquiJuan Matus, sciamano e stregone, avvenute tra il 1961 e il 1965 nella regione di Sonora, tra il Messico e la zona sud-occidentale degli Stati Uniti.