Monaco, sede delle Olimpiadi del 1972. Sono le prime ore del 5 settembre. Un gruppo di 8 palestinesi dall'aria sospetta, con indosso tute sportive e borsoni in mano, scavalca un'alta staccionata che cinge il villaggio olimpico. Il gruppo si ferma nel giardino e si cambia i vestiti, togliendosi quello che era effettivamente un travestimento per eludere sorveglianze di sorta. Dopo essere riusciti a penetrare all'interno di un edificio, armati di mitra gli arabi sfondano la porta delle residenze in cui dormono gli atleti israeliani: 11 di essi vengono aggrediti, 2 subito uccisi e gli altri 9 presi in ostaggio.
Mentre i popoli di tutto il mondo stanno col fiato sospeso, nell'incertezza sul destino degli ostaggi (alla fine anche i restanti 9 rimarranno uccisi, così come 5 terroristi e un poliziotto tedesco), il primo ministro israelianoGolda Meir decide di vendicare i primi ebrei assassinati in terra tedesca dai tempi dello Shoah ed incarica così i vertici del Mossad di dare inizio alla missione in codice denominata "Operazione Ira di Dio", al fine di eliminare fisicamente - nelle principali città d'Europa e del Vicino Oriente - 11 alti esponenti del terrorismo palestinese che si ritengono in qualche modo implicati nell'attentato come organizzatori e mandanti. Golda Meir convince un riluttante ufficiale del Mossad, Avner Kaufmann, a presiedere il commando che dovrà recarsi in diverse città d'Europa per stanare ed eliminare i terroristi arabi; il gruppo è composto, oltre che da Avner, da Steve, Carl, Robert e Hans.
La squadra si reca così dapprima a Roma, poi a Parigi, tuttavia di fronte agli omicidi di Stato la CIA e il KGB finiscono per reagire intervenendo contro il Mossad, cioè Avner ed i suoi uomini, alcuni dei quali vengono perciò eliminati (Carl, Robert e Hans). https://it.wikipedia.org
Nel film alcuni episodi sono ricostruiti in modo molto fedele a come andarono nella realtà: per esempio il racconto del sequestro e dei successivi omicidi degli atleti di Monaco, oppure delle dinamiche delle uccisioni, da parte del gruppo di Avner, dei terroristi responsabili del massacro. Altri elementi invece si discostano dai fatti reali: primo fra tutti il fatto che nel film si fa credere che tutti gli omicidi dei terroristi palestinesi siano stati eseguiti dal commando di Avner, mentre in realtà nelle uccisioni furono coinvolte diverse altre persone incaricate dal Mossad. Allo stesso modo, le informazioni sui bersagli da trovare e uccidere erano frutto del lavoro di molti agenti del Mossad, e non di un unico informatore. Inoltre, la fine dell’operazione “Ira di Dio” non fu determinata dal crollo nervoso degli ultimi due agenti, ma dall’“affare di Lillehammer”, che nel film non viene raccontato. Nella cittadina norvegese gli inviati del servizio segreto israeliano uccisero il cameriere marocchino Ahmed Bouchiki, che avevano erroneamente identificato come Salameh (a cui era incredibilmente somigliante): in seguito all’arresto di uno degli agenti locali di copertura, gran parte della rete spionistica del Mossad venne distrutta. https://www.ilpost.it
Ivano Fossati: dopo due anni esce il nuovo album, "Canzoni a raccolta"
"Quel modo di fare musica, fortunato negli anni 70 e 80, oggi ha il sapore di cosa vecchia"
Mantova - Le grandi svolte non presentano biglietto da visita. In un giorno qualunque, ci si accorge che qualcosa nella nostra vita è cambiato, per sempre. Quella annunciata qui da Ivano Fossati è una rivoluzione epocale di non scarno significato: in poche parole molto pensate, com'è nella sua natura schiva, il rispettato artista genovese mette fine ad un periodo felicissimo della musica italiana, quella dei cantautori. Per quanto lo riguarda, naturalmente. Si chiacchiera a tavola, in uno di quei posti sperduti fra colline o campagne che Ivano è solito scegliere quando deve provare un concerto. Quistello, provincia di Mantova, paesaggio da "Novecento" di Bertolucci, a pochi chilometri un teatro dove con suo figlio Claudio, Beppe Quirici e altri musicisti, l'eterno pensoso ragazzo che un tempo lontano lanciò in Italia il rock progressivo, prepara il concerto del prossimo 9 maggio a Strasburgo, prima tappa verso l'Europa nuova terra di conquista, e il successivo tour italiano, da giugno. le rivoluzioni si annunciano spesso con altri pretesti anche nobili. Come l'uscita, oggi, di "Canzoni a raccolta - Time and Silence", la prima antologia discografica di Fossati, con 15 anni di successi significativi, fra La musica che gira intorno e Ventilazione, Discanto e La canzone popolare, Mio fratello che guardi il mondo e Una notte in Italia. Unico inedito, Il talento delle donne, richiama alla mente le intense canzoni di macramè che scrutavano talentosamente l'universo femminile. Fossati è cordialmente timido, come sempre. E come sempre cerca con prudenza le parole per spiegare meglio la sua quieta rivoluzione. "Canzoni a raccolta - Time and Silence" è la sua prima antologia in quasi trent'anni di musica. Perché proprio in questo periodo affollato di antologie? "Ci ho messo dentro le canzoni meno cantautorali, le più vicine alla musicalità della scrittura, come composizione e lavoro di strumenti e musicisti. Perché mi sembra che si volti pagina: anzi, la pagina è già voltata". FONTE
- da Musica! (21/05/98)Quindici canzoni per galleggiare sulla zattera della memoria con il musicista genovese. Che, nelle note di copertina, offre le istruzioni per l'uso: "Nella prima canzone di questo album ho utilizzato in perfetta coscienza le sillabe sacre Om Mani Padme Hum, affinché mi aiutassero a tracciare la linea d'ombra il più possibile netta fra l'idea ciclica del tempo orientale e quella lineare che è la nostra. Le parole tempo e silenzio sono espresse in lingua inglese perché più di ogni altra sembra rappresentare oggi il modello occidentale. La piccola storia nel mezzo non è certo soltanto mia. Le restanti canzoni sono un frammento di quindici anni di personalissima meditazione occidentale". Questa compilation - curata con l'amore che si dedica ai dischi veri - rappresenta allora la chiusura di un (magnifico) ciclo artistico e ne preannuncia uno nuovo, meno occidentale. L'ultimo atto prima del giro di boa è l'inedita Il talento delle donne, simbiosi intelligente fra musica leggera, orchestrazione colta, speziature jazz. Il resto è arte della canzone popolare sedimentata nel tempo. Flavio Brighenti
Come cambia le cose
La luce della luna
Come cambia I colori qui
La luce della luna
Come ci rende solitari e ci tocca
Come ci impastano la bocca
Queste piste di polvere
Per vent'anni o per cento
E come cambia poco una sola voce
Nel coro del vento
Ci si inginocchia su questo
Sagrato immenso
Dell'altipiano barocco d'oriente
Per orizzonte stelle basse
Per orizzonte stelle basse
Oppure niente
Ivano Fossati – Canzoni A Raccolta (Time And Silence)
«In lei il fiabesco nasce spontaneo, e altrettanto spontaneamente si ambienta contro lo sfondo del suo Paese, la Danimarca. I fantasmi entrano in scena come la cosa più naturale del mondo, nei suoi racconti»(Mario Praz)
Sette storie gotiche (Syv fantastiske Fortællinger) è una raccolta di racconti scritta da Karen Blixen nel 1934. Fu il primo libro della scrittrice danese, sotto lo pseudonimo di Isak Dinesen.
La Cena a Elsinore. Il racconto ruota intorno alle sorelle Fanny ed Eliza ed il loro colloquio con il fantasma del fratello Morton,scomparso diversi anni prima.
Si dice che Ernest Hemingway dichiarasse ai giornalisti dopo la notizia dell’assegnazione del Nobel che sarebbe stato felice se a venir premiato fosse stato lo scrittore Isak Dinesen. Se questo nome non vi è noto è solo perché si tratta del primo pseudonimo usato da Karen Christenzte Dinesen, von Blixen- Finecke, meglio nota come Karen Blixen. Karen Blixen conosciuta, soprattutto dopo la trasposizione cinematografica, per il romanzo “La mia Africa”, è anche una scrittrice di racconti, l’ultima raccolta “Capricci del destino”, comprende il bellissimo “Babette’s feast”, da cui è stato tratto un altro imperdibile film. Non è raro che le donne abbiano scelto i racconti come forma narrativa e sarebbe interessante sapere se anche per Karen Blixen valse la stessa ragione di Alice Munro che spiegò di essersi dedicata alle narrazioni brevi per mancanza di tempo, dovendo conciliare le esigenze familiari con il tempo dedicato alla scrittura. Tornando a Ernest Hemingway, nella sua dichiarazione faceva riferimento alle “Sette Storie Gotiche”, prima opera della scrittrice danese ad aver raggiunto la notorietà. Credendo che non ci si possa esimersi dal cogliere un suggerimento di lettura così autoritario, forse è vero che questa raccolta di sette lunghi racconti, è stata sottovalutata, a volte proprio dagli amanti del genere, probabilmente perché il soprannaturale, il fantastico non fa paura, ma si armonizza nella realtà dei protagonisti come parte integrante della loro esistenza. Fra le “Sette storie gotiche” la mia preferita è “La cena a Elsinore”....Beatrice Maffei INFO Il Poeta
Siamo in Danimarca. Un vecchio poeta aspirerebbe ad essere una reincarnazione di Goethe, ma è assolutamente privo di talento. Non attraverso la letteratura, ma nella vita vera, cerca di far nascere una storia d’amore tra due personaggi: un vero poeta romantico e una fanciulla apparentemente innocente e casta.INFO
«In lei il fiabesco nasce spontaneo, e altrettanto spontaneamente si ambienta contro lo sfondo del suo Paese, la Danimarca. I fantasmi entrano in scena come la cosa più naturale del mondo, nei suoi racconti, e le metamorfosi dei personaggi, che il carnevale romano giustifica nella Principessa Brambilla di Hoffmann, nei racconti della Blixen si accettano quasi senza sorpresa. La meravigliosa storia della cantante Pellegrina Leoni che, perduta la voce nell’incendio del Teatro dell’Opera di Milano, sopravvive abdicando alla propria personalità, e presentandosi in forme diverse ai suoi adoratori a cui sottrae, seguìta come un’ombra dal vecchio ebreo suo amico e protettore, finché muore nel momento in cui ricupera la propria personalità di cantante, contiene in sintesi tutte le qualità della scrittrice» MARIO PRAZ
Nel 1957 la Cassa per il Mezzogiorno inaugurò la politica di intervento diretto alla creazione di economie industriali, che diede vita al polo siderurgico di Taranto, alla raffineria Anic di Gela, agli stabilimenti chimici di Cagliari, Sassari, Porto Torres e all'Italsider di Bagnoli, ma erano interventi tardivi per pensare di poter riequilibrare i rapporti di forza tra Nord e Sud. Un'ampia fetta di italiani non si concedeva vacanze, né pranzi fuori, né altri "capricci". L'automobile era un lusso di pochi, la televisione si guardava al bar. Ancora nel 1960, al Sud appena il 15 per cento della popolazione possedeva un frigorifero.
Milioni di uomini e donne, insomma, non sapevano come mettere insieme il pranzo con la cena. E perciò emigravano. Su treni che si chiamavano Freccia del Sud, Treno del Sole, Treno dell'Etna, Freccia delle Puglie, Espresso del Levante. "Nelle stazioni," diceva alla radio il segretario del Pci Palmiro Togliatti, con voce nasale, "mi colpisce la folla di gente disagiata, povera, con le grandi valigie sdrucite tenute insieme da un giro di spago: gente che va in cerca del lavoro, spesso alla ventura in terra straniera."
La foto di copertina del libro Gli italiani in Svizzerra, a cura di Ernst Halter, ritrae un gruppo di emigrati alla stazione di Zurigo nel 1953. Si ammassano sul binario per salire sul treno che li porterà in Italia per votare. Le famose elezioni della legge truffa. Hanno i capelli impomatati di gel. Indossano giacca e cravatta, perché il viaggio impone un decoro, un codice di eleganza. Sgomitano. Qualcuno ha le valigie sulle spalle. È una gara a chi sale per primo sul vagone, per assicurarsi un posto a sedere. La lotta per conquistarsi uno strapuntino nella società del benessere comincia su quei treni sovraffollati.
Alla metà degli anni sessanta vivono in Svizzera più di 500mila italiani. Quando scendono alle stazioni dai nomi ostici, Winterthur, Schaffhausen, Dietikon, posano per terra un solo bagaglio: tutta la loro vita è stipata in quella valigia.
James Schwarzenbach, cugino della scrittrice Annemarie Schwarzenbach, è un editore colto e raffinato di Zurigo. La sua è una delle famiglie industriali più ricche della Svizzera. A metà degli anni sessanta entra a sorpresa in Parlamento a Berna, unico deputato del partito di estrema destra Nationale Aktion. Come suo primo atto promuove un referendum per espellere dal Paese trecentomila stranieri, perlopiù italiani. È l’inizio di una campagna di odio contro i nostri emigrati che durerà anni, e che sfocerà nel voto del 7 giugno 1970, quando Schwarzenbach, solo contro tutti, perderà la sua sfida solitaria per un pelo.
Com’è stato possibile? Cosa ci dice del presente questa storia dimenticata? E come si spiega il successo della propaganda xenofoba, posto che la Svizzera dal 1962 al 1974 ha un tasso di disoccupazione inesistente e sono proprio i nostri lavoratori, richiamati in massa dal boom economico, a proiettare il Paese in un benessere che non ha eguali nel mondo?
Eppure Schwarzenbach, a capo del primo partito anti-stranieri d’Europa, con toni e parole d’ordine che sembrano usciti dall’odierna retorica populista, fa presa su vasti strati della popolazione spaesata dalla modernizzazione, dalle trasformazioni economiche e sociali e dal ’68. Fiuta le insicurezze identitarie e le esaspera. “Svizzeri svegliatevi! Prima gli svizzeri!” sono i suoi slogan, mentre gli annunci immobiliari specificano: “Non si affitta a cani e italiani”.
In una serrata inchiesta fra racconto e giornalismo, Concetto Vecchio fa rivivere la stagione dell’emigrazione di massa, quando dalle campagne del Meridione e dalle montagne del Nord si andava in cerca di fortuna all’estero. E in un viaggio nella memoria collettiva del nostro Paese, nell’Italia povera del dopoguerra, raccoglie le voci degli emigrati di allora e sottrae all’oblio una storia di ordinario razzismo di cui i nostri connazionali furono vittime.
“Sono troppi, ci rubano i posti migliori, lavorano per pochi soldi, occupano i letti degli ospedali, sono rumorosi, non si lavano.”
Nel 1970 viene indetto in Svizzera il primo referendum contro gli stranieri nella storia d’Europa. E gli stranieri eravamo noi.
Concetto Vecchio (1970) è giornalista nella redazione politica di “Repubblica”. Vive a Roma. Ha scritto Vietato obbedire (2005), un saggio sul ’68 alla facoltà di Sociologia di Trento, con cui ha vinto il premio Capalbio e il premio Pannunzio; Ali di piombo (2007), sul movimento del ’77 e il delitto Casalegno; Giovani e belli (2009). Con Feltrinelli ha pubblicato Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano (2017) e Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi (2019). INFO
Concetto Vecchio, la sua è un'inchiesta ambientata nel passato, ma dal forte legame con il presente. Di cosa si tratta? Racconto la campagna d'odio che animò un populista svizzero (che fu il primo populista d'Europa e che si chiamava James Schwarzenbach) e del referendum che indisse contro gli stranieri: 300.000 stranieri "da cacciare dalla Svizzera", che erano quasi tutti italiani. Se si studiano le parole di questa campagna referendaria si nota che sono le parole d'ordine dell'Italia sovranista di oggi contro gli immigrati. Sono le stesse: c'è una regolarità impressionante, ci sono sempre degli ultimi con cui prendersela. In quel tempo (ma l'abbiamo dimenticato perché è in corso un'operazione sofisticata del potere di rimozione della memoria e della storia, come dimostra anche l'eliminazione dell'esame di storia alla maturità) anche noi eravamo gli ultimi e ci trattavano da ultimi, come noi spesso oggi trattiamo gli ultimi in Italia.
"Sono troppi, ci rubano i posti migliori, lavorano per pochi soldi, occupano i letti degli ospedali, sono rumorosi e non si lavano" dicevano in Svizzera degli italiani. Ma, come lei scrive, la questione alla base delle discriminazioni nei confronti dei migranti non poteva essere di tipo economico perché negli anni Sessanta in quel Paese non mancava certo il lavoro.
Ho controllato: dal 1962 (durante la grande ondata immigratoria) al 1972, in dieci anni, in Svizzera non c'erano disoccupati. La statistica era 0,0% di disoccupazione. Eppure Schwarzenbach ebbe un successo strepitoso e quasi vinse il referendum. Perché? Perché il populismo, oggi come allora, è un fatto soprattutto identitario, di paura dell'altro, del diverso. Questa forse è la lezione più grande che ho imparato facendo quest'inchiesta.INFO
His latest "voodoo" album, N'Awlinz Dis Dat or D'udda, a tribute to the drummers of New Orleans, features linear notes expounding on the various "bippin'" "mo" and "dere it t-i-is" talent of well-known players offering their takes on things "down yonder." It's a generally pleasing album held together by a huge and diverse collection of guests, but it suffers the inconsistency almost inevitable with so many different performers. Also, for an album intent on giving the drummer some, contributions of note are surprisingly scarce. RECENSIONE COMPLETA
C’e da ricordare che le spalle di questo album sono irrobustite da un’armatura possente, leggi l’esperienza della One Drop Band (tra cui Ludus Pinsky, IrieV, Jahmento, corifei delle produzioni reggae italiche) e dello storico produttore dei Rolling Stones (mi…) Marshall Chess.
Ciò non toglie che pure qui si casca in pozzanghere limacciose. Tra quelle pizzicate ne scelgo una: la tragicomica “Pizza&Mandolino”, para-rap bubble gum, metriche da schiaffi (mc DropAflo), campioni macilenti e clichè. RECENSIONE COMPLETA
Improvviso, come un fulmine, il delitto cala sul chiostro di San Giacinto alle Fontanelle, sede insolita di un ricevimento al quale partecipa il fior fiore della nobiltà e del bel mondo romano. La vittima è Isabella De Gherarducci, titolare della cattedra di storia dell'Arte all'università La Sapienza, insigne critico e donna assai affascinante. Tra lo sgomento generale, le indagini vengono affidate al procuratore Corrado Blasi, uomo di vasta esperienza e d'incurabile scetticismo nei confronti degli esseri umani, soprattutto se questi ultimi appartengono alla nobiltà o comunque a una fascia sociale a lui nettamente superiore, come la principessa Papazzurri o l'antiquario Facchetti, amici (o nemici?) della morta.
Federico Zeri (Roma, 12 agosto 1921 – Mentana, 5 ottobre 1998) è stato un critico d'arte italiano.Forrmatosi a Roma presso i Gesuiti (svilupperà una sostanziale antipatia per la gerarchia ecclesiastica, ed un netto agnosticismo), il padre lo avviò allo studio della botanica e della chimica, ma nel 1943 Zeri abbandonò tutto e decise di seguire le lezioni sulla storia dell'arte del professore Pietro Toesca.Nel febbraio 1944 venne arrestato dai fascisti su denuncia di una vicina di casa, che lo accusava di intrattenere rapporti di amicizia con persone notoriamente antifasciste. Condannato a morte, venne liberato grazie all'interessamento di uno sconosciuto, che lo volle aiutare come gesto di gratitudine verso suo padre Agenore, da cui anni prima era stato curato...
Giornalista, sceneggiatrice, scrittrice e traduttrice, Carmen Iarrera è laureata in Scienze politiche all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Collabora attivamente a riviste come Gente Viaggi, Io Donna e Confidenze. Dal 1998 al 2001 è stata presidente della sezione italiana dell'AIEP, l'associazione internazionale di scrittori di gialli. Tra i suoi libri ricordiamo i due romanzi scritti in collaborazione con il critico d'arte Federico Zeri (Mai con i quadri e Uno sguardo indiscreto), Guantanamera, Delitti alla Scala, con il quale è entrata nel 2003 nella cinquina del Premio Scerbanenco. https://www.ibs.it
. "Non c' è alcun riferimento a personaggi reali. C' è un pezzo di quello, un pezzo dell' altro. Se qualcuno ci si riconosce peggio per lui". Ma quando si parla di un antiquario fiorentino che ha 1500 perizie tutte dello stesso autore si riferisce a Roberto Longhi? "No. Ma delle perizie di Roberto Longhi non si può parlare perché offendono il culto longhiano. C' è quello in mano alla Vergine vestale di Firenze e quello di Siena. Sono due chiese che si combattono come la cattolica e la ortodossa, come Stalin e Bucharin. Molto divertente ma non ha nulla a che vedere con Longhi". Eppure anche Isabella De Gherarducci, assassinata nelle prime pagine, somiglia molto a una famosa storica d' arte. E Anselmo Ghisleri, che con un' occhiata scopre le ridipinture su un' opera del Geminiani, sembra Zeri da giovane. "Macché. Nulla di questo. Prima di cominciare il lavoro ci siamo detti: attenzione uno di noi due fa un mestiere nel quale ci sono persone che possono essere prese in giro e caricaturate. E' nostro scrupolo di non farlo. E credo che ci siamo riusciti. Per evitare contestazioni abbiamo addirittura cancellato un personaggio, un docente universitario, che era troppo riconoscibile. Soltanto per gli investigatori non abbiamo potuto esimerci dalla realtà, ispirandoci ai carabinieri del nucleo per la tutela del patrimonio artistico". Il mondo della nobiltà romana, degli antiquari, dei collezionisti però è quello che lei ben conosce. https://ricerca.repubblica.it
Date ascolto a un vecchio giramondo, andate via finché potete. Trovatevi un brav'uomo, sposate un sarto, un mercante, un uomo comune che la sera torni a casa. Non percorrete la sua strada, non ne caverete niente di buono. (Hibble) [a Moll Flanders]
Un maggiordomo, Hibble, si reca in Inghilterra per prelevare da un orfanotrofio una bambina di nome Flora e portarla negli Stati Uniti. Durante il viaggio l'uomo le legge le memorie di una donna, Moll Flanders, sotto richiesta di una "benefattrice": in realtà si tratta di Moll stessa, madre della piccola, in modo tale che la figlia possa conoscere la sua vita avventurosa di donna che ha saputo riscoprire il significato dei più profondi valori umani attraversando condizioni paradossalmente disumane. https://it.wikipedia.org
Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders (The Fortunes and Misfortunes of the Famous Moll Flanders) è un romanzo di Daniel Defoe pubblicato nel gennaio 1722 con un lunghissimo titolo-sommario: The Fortunes and Misfortunes of the Famous Moll Flanders, &c. Who was Born in Newgate, and during a Life of continu'd Variety for Threescore Years, besides her Childhood, was Twelve Year a Whore, five times a Wife (whereof once to her own Brother), Twelve Year a Thief, Eight Year a Transported Felon in Virginia, at last grew Rich, liv'd Honest, and died a Penitent. Written from her own Memorandums (Le fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, ecc. Che nacque a Newgate, e durante una vita di continui cambiamenti per una sessantina d'anni dopo l'infanzia, fu per dodici anni prostituta, cinque volte moglie (compresa una volta con suo fratello), dodici anni ladra, otto anni delinquente deportata in Virginia; alla fine divenne ricca, visse onestamente e morì pentita. Trascritto dalle sue memorie).
Defoe lo scrisse dopo aver lavorato come giornalista ed autore di pamphlet. Nel 1722 era già un romanziere apprezzato, dopo il successo di Robinson Crusoe, pubblicato nel 1719. Il suo impegno politico si stava attenuando in seguito alla caduta dei capi politici, sia Tory, sia Whig con i quali era stato in contatto; stava iniziando la sua ascesa Robert Walpole, con il gruppo del quale Defoe non si trovò mai completamente d'accordo.
Alcuni ritengono che la vicenda sia una rappresentazione narrativa del capitalismo, date le numerose allusioni al denaro, ai contratti e ad altri argomenti legati alla moneta. Tutto, comprese le persone, ha un valore monetario. Questo può dare al lettore la sensazione della personalità calcolatrice di Moll. Il capitalismo però non divenne un concetto familiare se non molto più tardi; è dunque meglio ritenere che Defoe, che fu lui stesso carcerato a Newgate e spia, rappresenti piuttosto la vita sociale del XVIII secolo.
Moll Flanders spesso spinge il lettore a chiedersi se fare qualcosa di immorale per bisogno sia veramente immorale; tuttavia, il lettore non dovrebbe sottovalutare che alcuni suoi tratti caratteriali, come la predisposizione al pragmatismo e l'arroganza (palese nella tendenza a giustificare ideologicamente anche le sue azioni più riprovevoli) sono palesi fin da subito e non sono qualità che lei acquisisce col tempo e col moltiplicarsi delle sue sventure, inoltre le sue cattive azioni sono raccontate in modo distorto dalla retorica del libro, tale da suscitare compassione anche quando ella intenzionalmente danneggia le persone migliori per trarne vantaggio.
Il libro è stato definito romanzo picaresco e moralistico e in effetti entrambe le definizioni sono giuste. Per quanto riguarda l'aspetto picaresco, Moll è un personaggio di classe inferiore che si muove in mezzo ai ricchi e mette a nudo la loro vanità e vacuità. Tuttavia, come racconto morale il romanzo si può leggere in due modi diversi. Da un lato, la storia di Moll potrebbe essere tragica in senso classico: si macchia di un'unica colpa di hybris in quanto desidera essere una signora - posizione alla quale non ha diritto - e commette adulterio, si prostituisce, abbandona i figli e commette incesto nello sforzo di elevarsi a quella condizione, solo per essere condotta alla confessione, al perdono e a vivere una vita "perbene" nella classe media. D'altro lato, potrebbe anche esser letta come la storia di una donna il cui delitto è la autosufficienza e la mancanza di obbedienza cristiana; essa perciò commette delitti per la sua volontà peccaminosa; può raggiungere la prosperità e la pace solo con la confessione, la redenzione e la sottomissione alla divinità. Così il romanzo esplora entrambe le ideologie contemporanee del XVIII secolo: conservatrice e progressista.
« …certe volte gli uomini che l'opinione pubblica ritiene morigerati non sono meglio degli altri, ma sanno soltanto far migliore figura, ovvero, se preferisci, sono più ipocriti. » (la governante di Moll Flanders ad una sua conoscente)
« [...] ogni qualvolta a un errore di questo tipo segue un ravvedimento sincero, esso è inevitabilmente accompagnato da un sentimento di odio per l'oggetto un tempo amato; e più grande era un tempo l'affetto, più sarà poi grande l'odio e la ripugnanza. »
Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders. Avventuriera, ladra, prostituta
Daniel Defoe. Scrittore inglese.Figlio di un modesto negoziante, ebbe un’istruzione piuttosto eterogenea e frammentaria, viaggiò a lungo in Europa e tentò varie imprese commerciali, ottenendo però sempre risultati deludenti.
Verso il 1700 si stabilì definitivamente a Londra, cercando di vivere come giornalista e libellista.
S'impegnò in politica cambiando casacca diverse volte, nel corso di una vita pubblica che durò diversi decenni, e nel corso della quale fu più volte incarcerato per motivi politici e anche per i debiti.
Nel 1704 fondò e diresse «The Review», rivista sulle cui colonne espresse le sue eccezionali qualità di giornalista. Defoe è infatti considerato uno dei fondatori del giornalismo moderno. https://www.ibs.it/libri
1865: La corazzata Texas, punta di diamante della marina confederata, sembra svanire nel nulla, inghiottita dalle nebbie durante una missione disperata. 1931: L'intrepida aviatrice Kitty Mannock scompare misteriosamente durante il tentativo di trasvolare il Sahara.
Oltre mezzo secolo dopo, una devastante invasione di alghe rosse sta per chiudere in una morsa letale il mondo intero.
Dirk Pitt e Al Giordino, protagonisti della maggior parte dei libri di Clive Cussler, sono questa volta impegnati in una missione da cui potrebbe dipendere il destino del mondo. Una devastante invasione di alghe, la cui crescita viene enormemente aumentata da un composto chimico, rischia di risucchiare tutto l'ossigeno del pianeta. Pitt scoprirà l'origine del composto chimico risalendo il Niger, poi verrà catturato dallo spietato industriale Yves Massarde, responsabile del disastro.
Lui e Giordino riescono a fuggire e, seguendo le tracce dell'inquinamento, raggiungono una centrale di smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi di proprietà di Massarde. Scoprono che in realtà è solo una copertura, e la maggior parte dei rifiuti pericolosissimi vengono nascosti sotto terra, da cui filtrano fino al corso del fiume Niger, che sfocia nell'oceano. Ancora una volta vengono catturati e poi vengono spediti alle miniere di Tebezza, dei veri e propri lager in cui sono tenuti in condizioni precarie prigionieri di guerra e persone che conoscono la verità sugli orrendi crimini compiuti da Massarde e dal tiranno che controlla il paese del Mali servendosi di un "presidente bamboccio": Zateb Kazim.
Il film fu in parte girato in Gran Bretagna e Spagna, ma la maggior parte delle riprese si svolse in Marocco, divenuto un popolare sito per i registi statunitensi grazie a clima accogliente, tasso di cambio favorevole e manodopera a basso costo.
Il libro vinse il Premio Strega nello stesso anno; queste circostanze spinsero l’editore Feltrinelli a pubblicizzarlo in modo analogo a com’era successo molti anni prima con Il Gattopardo.
La narratrice, Chiara D’Auria, è una donna di mezza età non sposata che vive in una città dell’Italia meridionale, nell’appartamento lasciatole in eredità dalla prozia Peppina Curatore, che le era legatissima. Sentendo approssimarsi la morte, essa si mette a rievocare gli eventi della sua vita e di quelle dei suoi famigliari.
In un paese della Puglia, poco prima della Seconda guerra mondiale, giunge una nuova levatrice, Anita Riccetti. Di questa s’invaghisce Francesco D’Auria, figlio di un intrallazzatore locale con qualche bene al sole chiamato Tripoli per aver combattuto nella guerra italo-turca. Quando l’Italia entra in guerra, Francesco si arruola volontario nelle camicie nere ed è inviato nella Jugoslavia occupata; dopo l’8 settembre 1943 diserta e si unisce ai partigiani.
Nel frattempo Anita ha dato alla luce una bambina, Chiara, che viene vezzeggiata dalla prozia donna Peppina Curatore, sorella di Tripoli, che non ha potuto avere figli, e dalla zia Giuppina, sorella di Francesco, che ha avuto in giovane età un figlio naturale che è stato mandato lontano per volontà di donna Peppina che teneva all’onorabilità della famiglia.
Francesco, tornato a casa al termine delle ostilità, riconosce la bambina e le dà il proprio cognome. Grazie alle trame del padre, che ha dei legami con un potente sottosegretario, egli viene assunto nel Consorzio agrario e, per promuovere la vocazione cerealicola della zona, organizza una fiera del grano, ma i raccolti dei contadini che gli erano stati consegnati gli vengono rubati e due sacchi sono ritrovati in un rustico di proprietà dei D’Auria. Francesco, consigliatosi con l’amico Giovanni Cantalupa denuncia il fatto ai carabinieri ma viene riconosciuto colpevole e condannato a quattro anni di carcere. Rocco Gessano, possidente e compaesano, chiede al sottosegretario di dare a suo nipote il posto che era stato di Francesco al consorzio, suscitando i sospetti di Tripoli, che grazie all’aiuto di Cantalupa scopre che i ladri sono stati proprio degli uomini di Gessano, che tuttavia si guardano bene dal fare il nome del mandante del furto. Francesco viene comunque scarcerato e decide di sposare Anita.
Chiara, che con l’inizio delle scuole medie è andata a vivere in città con donna Peppina e il marito per motivi di comodità, viene richiamata al paese natale perché la madre sta morendo di tifo. Per lei è la prima occasione di rivedere suo padre dopo che, alcuni anni prima, non si è presentato all’altare il giorno del matrimonio: gli dichiara che non potrà mai perdonarlo.
Mentre frequenta il liceo classico, Chiara intreccia una relazione epistolare col cugino Saverio, figlio di Giuppina, che ha ripreso i rapporti con la madre all’insaputa di donna Peppina. Saverio è emigrato in Svizzera dove spera di guadagnare abbastanza per aprire una propria autofficina, e torna in Italia per il servizio militare. Avendo scoperto la corrispondenza tra Chiara e Saverio, Giuppina, che teme il diverso livello culturale tra i due giovani e paventa che possano fare scelte avventate, proibisce ogni contatto tra figlio e nipote. Chiara allora si reca di nascosto nella città dove si trova la caserma di Saverio con l’intenzione di fuggire insieme con lui ma, giuntavi, scopre che il cugino ha chiesto e ottenuto di essere trasferito altrove e non è rintracciabile. Torna allora a casa in compagnia di Giuppina, venuta a prenderla, ma qualcosa si rompe nel suo animo. Frequenta la facoltà di medicina all’università senza convinzione, non arrivando alla laurea, e vede la morte del nonno e della prozia, senza riconciliarsi col padre come questa le aveva raccomandato.Autore:
Si tratta di un racconto in persona. E' Alberto Bevilacqua che parla della sua vita. Dei suoi amici, dei suoi amori. Lo fa in modo non troppo ordinato, a dire il vero. Questa l'impressione che ne ho avuto io. Lui, uno degli acrobati della vita: un gruppo di amici molto particolari, ognuno con le sue peculiarità, con i propri modi di fare, abitudini e necessità. Tutti accomunati da un'amicizia funambolica, quella che accomuna persone che sono pronte a fare acrobazie nella loro vita. Quelli di cui parla Bevilacqua sono amici che già dal loro soprannome rendono l'idea di dare vita ad una "banda" un po' speciale. La Pasionaria, Fiodor, Zamora, Rondine e Pepper. E c'è lui. Il narratore. Colui che narra l'incontro con una giovane donna misteriosa, dal passato misterioso e sconosciuto anche a lei stessa, dal presente sconvolgente, sbandato, fuori da ogni canone di normalità, apparentemente senza futuro. Storie di vita che vengono narrate a tratti, quasi come delle pennellate di colore calate su una tela bianca che si compone, pian piano, di forme prive di contorni definiti. Ogni personaggio ha una personalità che viene tratteggiata, secondo me, tanto da lasciar intendere senza andare troppo in profondità.
Una narrazione poco lineare, a tratti. Musicale, delicata ma a volte poco lineare. Questo è ciò che mi ha maggiormente spiazzata nella lettura di questo libro. Probabilmente è stato il pedaggio che ho dovuto pagare - questo mio smarrimento - per la mia iniziazione alle opere letterarie di un Bevilacqua che non conoscevo, se non di nome e di fama. E' come se venissero narrate storie e fatti fine a loro stessi... come quanto l'autore parla delle donne avute in passato. Trovo che non fosse proprio necessario un riferimento del genere. O, probabilmente, sono io che non sono riscita a capire appieno l'opportunità di una narrazione di questo genere. Come dei flash back, delle immagini sparse che galleggiano sopra ad una storia che in se è piuttosto semplice. Vite che si incontrano, che fanno parte di un unico quadro che in alcuni momenti stena a prendere forma. E forse, in alcuni passaggi del romanzo, è stata proprio l'immagine dell'autore - così come lo conosco io dalla tv - mi ha ancor più spiazzata perché ho fatto fatica a vedere quel volto, quelle mani, quella voce in determinate circostanze narrate. http://libri-stefania.blogspot.com/2010/06/sorrisi-dal-mistero-alberto-bevilacqua.html