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mercoledì 24 febbraio 2021

Corrado Stajano - Un eroe borghese | Un eroe borghese film diretto da Michele Placido

L’Italia degli anni settanta è l’Italia della loggia P2, della strategia della tensione, del terrorismo rosso e nero, l’Italia in cui la nascente società civile scopre che la democrazia non è un bene acquisito una volta per sempre. Giorgio Ambrosoli è un avvocato milanese, conservatore, cattolico, in gioventù monarchico. Muore nella notte di una Milano deserta, ucciso da un sicario venuto dall’America, l’11 luglio 1979.
Nel settembre 1974 la Banca d’Italia aveva nominato Ambrosoli commissario liquidatore dello scricchiolante impero bancario di Michele Sindona. Uomo d’affari romanzesco, spregiudicato equilibrista della finanza internazionale, amico di ministri della Repubblica, mafiosi siciliani e narcotrafficanti italoamericani, bene inserito negli ambienti vaticani, massonici, imprenditoriali, Sindona era per Giulio Andreotti «il salvatore della lira». Basta poco ad Ambrosoli per scoprire, allibito, il castello di trucchi contabili, operazioni speculative, autofinanziamenti truffaldini su cui si è retto l’inganno della sindoniana Banca Privata Italiana. Sfatando le previsioni di chi lo vorrebbe influenzabile, sensibile agli equilibri politici, il «moderato» Ambrosoli si rivela invece un osso durissimo, fedele alla propria integrità morale nonostante le pressioni dall’alto, i tentativi di corruzione che sfociano in minacce, la solitudine in cui gradualmente sprofonda. Fino all’omicidio, ordinato da Sindona. «Se l’andava cercando» commenterà nel 2010 Giulio Andreotti, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio.
La storia di Giorgio Ambrosoli – che Corrado Stajano ricostruisce in un’inchiesta incalzante, fulminea nelle sue giustapposizioni impreviste di fatti e scene, sempre attenta alla verità del particolare – è un frammento illuminante, tragicamente emblematico, della storia politica italiana. In terra di illegalità sistemica, di poteri criminali che si saldano al potere istituzionale, di compromissioni a buon mercato e tentazioni consociative, nell’Italia corrotta di ieri come in quella di oggi, l’onestà è la più imperdonabile delle virtù. E un servitore dello Stato finisce per diventare un ribelle solitario, un lottatore coraggioso: Un eroe borghese, suo malgrado. www.ilsaggiatore.com
    Un eroe borghese è un film del 1994
    , diretto da Michele Placido, con Fabrizio Bentivoglio e Michele Placido. Durata 93 minuti. Distribuito da ISTITUTO LUCE - ITALNOLEGGIO CINEMATOGRAFICO (1995) - MONDADORI VIDEO, L'UNITA' VIDEO.
  • Cast: Fabrizio Bentivoglio, Michele Placido, Omero Antonutti, Philippine Leroy, Daan Hugaert, Laura Betti, Laure Killing, Ricky Tognazzi, Giuliano Montaldo
    "L'intelligenza degli sceneggiatori, Graziano Diana e Angelo Pasquini, e del regista Placido consiste nel dare ai personaggi le parole e le azioni che essi meritano. Di non alternarle mai, di non ingigantirle. Neppure Sindona è visto come un re della città. Sia pure abilissimo manovratore, si sente già alle corde. E cerca, insistentemente, la mossa giusta con cui attenuare la lucidità dell'avversario. Ma, e questa è la notevole intuizione di Stajano e poi di Placido, l'avvocato Ambrosoli non cerca nemici. Gli hanno affidato un compito e lui lo assolve secondo coscienza: ripristinare il rispetto delle leggi, dell'etica che presiede sempre a un ordinamento giuridico, a dispetti anche di coloro che vanno amministrando la cosa pubblica. (Francesco Bolzoni, 'L'Avvenire', 2 marzo 1995)"Di una pellicola che sta invadendo le pagine dei giornali per i suoi contenuti etici e politici, alla critica restano da segnalare i valori espressivi, il modo sempre efficace con cui il racconto è messo in scena, scandito nei ritmi e rispettato nella sua rigorosa attendibilità. Nei confronti di una classe politica oggi sotto accusa l'evento può paragonarsi alla recita dell'uccisione del padre che Amleto organizza per l'assassino: possibile che non provochi qualche trasalimento anche nella masnada degli impuniti che vediamo ogni sera mentire sul video? Quanto al problema se abbiamo o no bisogno di eroi, il film di Placido ci conferma che non dobbiamo comunque cercarli sulla base di discriminazioni ideologiche ma semplicemente tra la gente disposta a ogni rischio pur di fare bene il proprio lavoro." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 3 marzo 1995)

martedì 9 febbraio 2021

“La ghianda e la spiga – Giuseppe Di Vagno e le origini del Fascismo”, edizioni Progedit

“Questa non è la storia breve e intensa solo di un uomo, ma di un’epoca, di un fardello che le ultime generazioni si trascinano dietro. La sua ombra ci insegue ancora oggi e interroga il tribunale della nostra coscienza collettiva. Ha inizio in un borgo agricolo del Sud barese, Conversano, che a fine Ottocento contava circa dodicimila anime. Il suo territorio, cinto dalla Murgia e sospeso in una apparente fatale immobilità, era aspro e brullo, quasi lunare: bruciato dal sole, interrotto qua e là da qualche cardo selvatico nella macchia verde e da rari e sparsi casolari isolati. Ma i suoi colori, che si facevano largo soprattutto in primavera tra le pietre e le sterpaglie e i lineamenti dei suoi declivi, erano capaci di aprire i pensieri. Qui un ragazzino si divertiva a rincorrere i suoi amici tra le contrade e le antiche mura, all’ombra del grande castello dei conti troneggiante sulla cittadina. Lo chiamavano tutti Peppino, Peppino Di Vagno. Gli dicevano che aveva lo sguardo vispo, attento; era solo un po’ più impacciato dei suoi coetanei. Talvolta si defilava per puntare il panorama che si protraeva sulla linea del mare verso la vicina Mola di Bari. Da quell’orizzonte annodava bei sogni di ragazzino pacato e riflessivo. La sua, come vedremo, è una storia di lotte per il riscatto sociale. In questo territorio, infatti, come nella gran parte del Mezzogiorno, emanciparsi era un’impresa che costava molta fatica. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, il sacrificio era la legge abituale e quotidiana che gravava sulle classi subalterne”.

Torna in libreria Giovanni Capurso con la biografia del primo parlamentare italiano ucciso per le idee che professava: “La ghianda e la spiga – Giuseppe Di Vagno e le origini del Fascismo”,edizioni Progedit (160 pagg., euro 13). L’opera, che celebra il centenario della morte dell’avvocato e deputato pugliese Giuseppe Di Vagno (1889-1921), si propone di ricostruirne vita e pensiero dai primi anni della formazione all’impegno pacifista e antimilitarista, dall’assistenza agli sfollati durante la Grande Guerra alle lotte per l’unità del Partito socialista italiano, dai soprusi dello squadrismo fascista all’elezione in Parlamento. Con questo libro, Capurso cerca di inquadrare la storia coraggiosa e drammatica del parlamentare pugliese all’interno della genesi del Fascismo. In tal senso, l’omicidio Di Vagno, secondo l’autore, costituì per Mussolini il colpo di grazia al fragile tentativo di realizzare a livello nazionale il Patto di pacificazione con le altre forze politiche del Paese. Peppino Di Vagno si spense alle 12.45 di lunedì 26 settembre 1921, lasciando la moglie in attesa di un bambino e l’anziana madre. “Una banda di fascisti della sua stessa città aveva abbattuto questa quercia che dava molta ombra alle loro ambizioni” riportava l’edizione parigina dell’Avanti!. L’assassinio trovò risonanza alla Camera ma, come suggerì il politico, giornalista e storico Gaetano Arfè, i deputati del Partito socialista, lacerati dalle lotte tra correnti, sul momento non colsero pienamente la portata di questo omicidio: per la prima volta nella storia d’Italia un parlamentare era stato ucciso per le idee che professava. Visto in questa luce, il delitto costituisce uno dei passaggi chiave nel processo che portò alla lunga dittatura fascista. Bilanciando il rigore storico con uno stile divulgativo, l’autore vuole rilanciarne una figura per troppo tempo accantonata dalla storiografia. Giuseppe Di Vagno fu un giovane ucciso all’età di appena trentadue anni per i suoi ideali. La sua vita coerente e coraggiosa spesa in nome delle libertà civili e della giustizia sociale, rappresenta un modello esemplare per le nuove generazioni che, in un mondo fondato sull’utile, corrono il rischio di perdere di vista i valori costitutivi della nostra civiltà. Il titolo della biografia La ghianda e la spiga, che riprende l’ultimo articolo di Di Vagno, intitolato La fiaba del grano (riportata nel testo), racchiude l’essenza degli ideali del giovane politico pugliese improntati alla ricerca della giustizia sociale: la ghianda è ciò che rimane al contadino dopo le faticose ore di lavoro passate sotto il sole, mentre la spiga, ovvero la parte migliore, va a chi gode passivamente del frutto del sacrificio altrui.

APPROFONDIMENTO: La ghianda e la spiga. Senso dell’opera

Può capitare che episodi fondamentali della nostra storia civile vengano marginalizzati dalla ricerca storiografia. È il caso del delitto di Giuseppe Di Vagno, il primo parlamentare ucciso dallo squadrismo fascista, esattamente cento anni fa. Questa è la tesi dello scrittore e saggista, attento ai temi del meridionalismo, Giovanni Capurso. Antimilitarista e pacifista convinto, Di Vagno fu internato due volte a causa della sua contrarietà alla partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale. Nel maggio 1921 venne eletto in Parlamento a poco più di trent’anni prendendo addirittura più voti dell’amico Giuseppe Di Vittorio, successivamente leader del sindacalismo italiano. Pochi mesi dopo, il giovane parlamentare venne freddamente raggiunto da alcuni colpi di pistola a Mola di Bari dopo l’ennesimo coraggioso comizio dove invitava tutte le forze politiche alla pace e alla concordia. Morì in ospedale il giorno seguente. Era il 26 settembre 1921. Durante il processo che ne seguì, nel pieno dell’ascesa del Fascismo, l’evento fu relegato a contrasti tra bande locali, nonostante Antonio Gramsci e altri intellettuali ne evidenziarono da subito la rilevanza assoluta. Anche il secondo processo che si aprì dopo la lunga notte del regime si chiuse nel clima assolutorio nato dalla voglia di ritornare alla normalità. In realtà, il delitto del “gigante buono”, come lo definì per la prima volta il fondatore del socialismo italiano Filippo Turati, è un fatto centrale nella genesi del Fascismo, in quanto ruppe il Patto di pacificazione che Mussolini stava faticosamente portando a termine e aprì definitivamente la strada a quell’anima del Fascismo più facinoroso, quello agrario. Insomma, senza quel delitto, la storia della nostra Italia forse avrebbe preso un strada diversa. Nessuno può dirlo con certezza. Ma il drammatico evento solleva sicuramente una questione sulla quale è importante riaprire un dibattito storico di ampio respiro.
La Progedit, fondata nel 1997, si è connotata per la sua impronta progettuale e per una forte professionalità al servizio degli autori. Ne sono emblema il logo – un calamaio che si radica e sboccia – e l’acronimo che dà il nome alla casa, mettendo insieme le iniziali di ‘Progetti’ e di ‘Editoriali’. Le numerose collane hanno ampliato lo spettro degli interessi dal mondo della ricerca e della formazione universitaria – in particolar modo della pedagogia, delle letterature, della storia, dell’architettura e dell’antropologia – alle risorse ambientali, alla saggistica d’attualità, alla narrativa, all’editoria per bambini, alla cultura materiale.
Giovanni Capurso è nato a Molfetta (Ba) nel 1978. È docente, scrittore e saggista, attento in particolare alle questioni legate al meridionalismo. Tra le sue pubblicazioni più recenti, ricordiamo i romanzi di formazione La vita dei pesci (Lecce 2017) e Il sentiero dei figli orfani (Viterbo 2019). Scrive per numerosi periodici e blog culturali.

Collana: Storia e MemoriaAnno di pubblicazione: 2021
Numero di pagine: 120
Prezzo: 13,00 €
ISBN 978-88-6194-500-5