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giovedì 22 maggio 2025

Andrea Camilleri - Un mese con Montalbano | Sellerio Editore Palermo, 2017

Trenta storie, divertenti e sorprendenti, con protagonista Montalbano. «Ladri, suicidi veri e suicidi non veri, un morto vivente, delitti e vari tentativi criminali, un diavolo che diavolo non è, acrobati, un re pastore e una veggente, figli e padri difficili, storie varie d’amore con colpi di scena imprevedibili: un rompicapo dietro l’altro, per il commissario, in un «romanzo» lungo un mese» (Salvatore Silvano Nigro).
Montalbano ha talvolta una franchezza insolente. È capace di rispostacce. Ma anche di una scanzonata levità. Lo soccorre l’ironia. E l’autoironia. Il commissario vanta «sangue di sbirro», senza frenesie però. Si prodiga persino in indagini «a ritroso nel tempo», che lo convincono a lasciare sepolto nelle macerie della storia il tragico segreto da lui scoperto; oppure preferisce condurre un’inchiesta parallela, stando nell’ombra, con la consueta vigilanza, con un sorriso arguto, e una sollecitudine anonima. Arriva a sentire inappropriata la divisa del detective armato di binocolo. L’indossa, solo per ridicolizzarsi: «Era atterrito all’idea che qualcuno del paìsi potesse vederlo col coppo... e un binocolo da teatro in mano intento a scrutare, proprio in cima al molo, non l’orizzonte, ma gli scogli che stavano sotto a lui». Ricorre all’«inquadratura» dei particolari più invisibili, ma «a fiuto» e «a pelle», con l’intuito e i sensi: «In questo consistevano il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l’anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l’insieme... 
Nel mondo che il suo occhio inquadrava qualcosa stonava». La collaborazione tra l’olfatto, la vista, e il tatto, lo dota di percezioni sinestesiche; gli fa incrociare sfere sensoriali diverse: «l’angoscia densa, la desolazione palpabile, la disperazione visibile... fetevano di un giallo marcio». Montalbano non dismette le «travediate». Ma ricorre anche a un marchingegno letterario. 
Ordina in racconto convincente i risultati della sua filologia investigativa (attenta pure a quella singola parola che apre «un abisso di sottintesi»); e garbatamente mette in campo la «storia» raccontata per accordare le parti in causa sulla verità dei fatti: e capita che la verità esiga l’indulgenza di Montalbano per l’umana debolezza. «E ora che fare?». 
La verità è stata acquisita. «E poi?», dice Montalbano: doveva essere, sempre e comunque, un giustiziere? Il turbamento del commissario ha la profondità morale dell’ansia notturna dell’Innominato nei Promessi sposi: «E poi? che farò... che farò?». Un mese con Montalbano è una raccolta di trenta racconti, già pubblicata da Mondadori nel 1998. Se è vero che il racconto sta al romanzo come una fotografia sta a un film, è anche vero che la sequenza delle «situazioni» del libro si configura come un film-romanzo in trenta episodi-capitoli. Qualche flashback sugli anni giovanili del commissario completa e arricchisce il «romanzo», dentro il quale convivono ladri, suicidi veri e suicidi non veri (e non è detto che un omicidio sia davvero omicidio), un morto vivente, delitti e vari tentativi criminali, un diavolo che diavolo non è, acrobati, un re pastore e una veggente, figli e padri difficili, storie varie d’amore con colpi di scena imprevedibili: un rompicapo dietro l’altro, per il commissario, in un «romanzo» lungo un mese.      Salvatore Silvano Nigro
Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 1925-Roma, 2019), regista di teatro, televisione, radio e sceneggiatore. Ha insegnato regia presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Ha pubblicato numerosi saggi sullo spettacolo e il volume, I teatri stabili in Italia (1898-1918). Il suo primo romanzo, Il corso delle cose, del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla TV col titolo La mano sugli occhi. Con questa casa editrice ha pubblicato: La strage dimenticata (1984), La stagione della caccia (1992), La bolla di componenda (1993), Il birraio di Preston (1995), Un filo di fumo (1997), Il gioco della mosca (1997), La concessione del telefono (1998), Il corso delle cose (1998), Il re di Girgenti (2001), La presa di Macallè (2003), Privo di titolo (2005), Le pecore e il pastore (2007), Maruzza Musumeci (2007), Il casellante (2008), Il sonaglio (2009), La rizzagliata (2009), Il nipote del Negus (2010, anche in versione audiolibro), Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta (2011), La setta degli angeli (2011), La Regina di Pomerania e altre storie di Vigàta (2012), La rivoluzione della luna (2013), La banda Sacco (2013), Inseguendo un'ombra (2014), Il quadro delle meraviglie. Scritti per teatro, radio, musica, cinema (2015), Le vichinghe volanti e altre storie d'amore a Vigàta (2015), La cappella di famiglia e altre storie di Vigàta (2016), La mossa del cavallo (2017), La scomparsa di Patò (2018), Conversazione su Tiresia (2019), Autodifesa di Caino (2019), La Pensione Eva (2021), La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigàta (2022), Il teatro certamente. Dialogo con Giuseppe Dipasquale (2023), Un sabato, con gli amici (2024); e inoltre i romanzi e racconti con protagonista il commissario Salvo Montalbano: La forma dell'acqua (1994), Il cane di terracotta (1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino (1997), La gita a Tindari (2000), L'odore della notte (2001), Il giro di boa (2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta (2005), La vampa d'agosto (2006), Le ali della sfinge (2006), La pista di sabbia (2007), Il campo del vasaio (2008), L'età del dubbio (2008), La danza del gabbiano (2009), La caccia al tesoro (2010), Il sorriso di Angelica (2010), Il gioco degli specchi (2011), Una lama di luce (2012), Una voce di notte (2012), Un covo di vipere (2013), La piramide di fango (2014), Morte in mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano (2014), La giostra degli scambi (2015), L'altro capo del filo (2016), La rete di protezione (2017), Un mese con Montalbano (2017), Il metodo Catalanotti (2018), Gli arancini di Montalbano (2018), Il cuoco dell'Alcyon (2019), Riccardino (2020), La prima indagine di Montalbano (2021), La coscienza di Montalbano (2022), La paura di Montalbano (2023).
Premio Campiello 2011 alla Carriera, Premio Chandler 2011 alla Carriera, Premio Fregene Letteratura - Opera Complessiva 2013, Premio Pepe Carvalho 2014, Premio Gogol’ 2015. www.sellerio.it
  • Collana: La memoria
  • Anno edizione: 2017
  • In commercio dal: 9 novembre 2017
  • Pagine: 512 p., Brossura
  • EAN: 9788838937101

martedì 20 maggio 2025

Il cavallo di Torino film del 2011 diretto da Béla Tarr e Ágnes Hranitzky.

Il cavallo di Torino è un film del 2011 diretto da Béla Tarr e Ágnes Hranitzky.

Il film, premiato con l'Orso d'argento al Festival di Berlino, prende spunto da un episodio della vita di Friedrich Nietzsche.

All'uscita dalla sua abitazione di Torino, il 3 gennaio 1889, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche vede un vetturino frustare il suo cavallo estenuato, che rifiuta di muoversi. Nietzsche rimane impressionato dalla violenza dell'uomo e dalla sua volontà di dominare il mondo. Si precipita a fermare il vetturino e singhiozzando abbraccia il cavallo. Il proseguimento del film si collega a questo aneddoto, chiedendosi quale possa essere stato il destino dell'animale.

Un vetturino con un cavallo torna nella sua abitazione di campagna, dove lo aspetta la giovane figlia. Il vento incessante tormenta le loro giornate, che passano tra la monotonia e la pesantezza della loro misera esistenza. Sembra che i protagonisti siano rassegnati, non arriverà mai qualcosa che possa cambiare la loro vita. Un conoscente passa per la loro abitazione e dichiara che la città vicina è in rovina. Denuncia che gli uomini meschini e subdoli hanno corrotto il mondo con le loro azioni e hanno avvelenato la terra; gli uomini nobili e eccellenti si sono estinti, la loro esistenza non ha senso in un mondo in cui l'avidità umana non ha limiti.

Un gruppo di Rom si avvicina alla casa, attinge dell'acqua dal pozzo e vorrebbe portar la ragazza via, con loro. Essi rappresentano la voglia di libertà, il desiderio di fuga verso un mondo migliore, ma non vi è alcuna speranza e il lento deperire di tutto quello che li circonda è una specie di ribellione della natura nei confronti dell'immoralità dell'uomo. Il cavallo smette di nutrirsi, il pozzo si secca, la brace finisce, la luce del sole si spegne.

«Vi è un'insistenza patologica nel riprodurre costantemente le stesse azioni nell'attesa che qualcosa di nuovo accada. È una tendenza tipica dell'essere umano. Quello che ho fatto nel mio film è stato riprodurre la vita.» (Béla Tarr)

Secondo il regista Béla Tarr il tema centrale del film è “la pesantezza dell'esistenza umana”. Non si concentra sulla mortalità ma sulla vita quotidiana: «Volevamo vedere quanto è difficile e terribile quando ogni giorno devi andare a prendere l'acqua al pozzo, in estate, in inverno … sempre. La ripetizione giornaliera delle stesse azioni ci dà la possibilità di mostrare che c'è qualcosa di sbagliato nel loro mondo. È molto semplice e puro».

Tarr descrive anche Il cavallo di Torino come l'ultimo passo di uno sviluppo che ha attraversato la sua carriera: «Nei miei primi film sono partito dalla mia sensibilità sociale e volevo cambiare il mondo. Poi ho dovuto capire che i problemi sono più complicati. Ora posso solo dire che è molto pesante e non so cosa succederà, ma vedo qualcosa di molto vicino. La fine. Prima di girarlo sapevo sarebbe stato il mio ultimo film».

Secondo Tarr, il libro che la donna riceve dai Rom è una “anti-bibbia”. Il testo è dello sceneggiatore del film, László Krasznahorkai, e contiene riferimenti a Nietzsche. Tarr descrive il visitatore nel film come “una sorta di ombra nietzschana”, ma sottolinea come questo differisce da Nietzsche poiché non afferma che Dio è morto, ma biasima sia gli uomini che Dio: «Il punto è che l'umanità, tutti noi, me incluso, siamo responsabili della distruzione del mondo. Ma c'è anche una forza al di sopra degli umani che agisce - il vento che soffia per tutto il film - e anch'essa sta distruggendo il mondo. Quindi sia l'umanità che una forza superiore stanno distruggendo il mondo».

Il cavallo di Torino è la storia di un padre e sua figlia, due “umiliati e offesi” isolati in un luogo (forse) al di fuori dello spazio e del tempo: una sorta di ultimi rappresentati di un’umanità sterile – non possono, almeno eticamente, procreare -, bloccata dall’accidia, condannata ad un’esistenza sempre uguale a se stessa. Fuori dalle porte della loro casa, il vento incessante corrode la materia ancora esistente. Se messo a confronto con l’episodio narrato dalla voce over nell’incipit del film, le due ore e mezza che seguono possono risultare l’ideale – e immaginifico – proseguimento.

– Perché non sei andato in città? – Il vento l’ha spazzata via. – Come mai? – E’ andata in rovina. – Perché mai sarebbe andata in rovina? – Perché tutto è in rovina, tutto si è degradato, ma potrei dire che loro hanno rovinato e degradato tutto. Perché questo non è il tipo di cataclisma che avviene con l’aiuto per così dire innocente degli uomini. Al contrario si tratta del giudizio dell’uomo, il proprio giudizio su sé stesso, nel quale ovviamente Dio mette mano, o oserei dire: ne partecipa, e qualunque cosa di cui egli partecipa è la creazione più orribile che si possa immaginare. Perché vedi, il mondo è stato corrotto. Perciò non importa cosa dico, perché tutto ciò che hanno acquisito è stato corrotto, e dato che hanno acquisito tutto in una subdola, scorretta battaglia, hanno corrotto tutto. Perché qualunque cosa hanno toccato – e loro toccano tutto – lo hanno corrotto. Così è stato sino alla vittoria finale. Sino al finale trionfante. Acquisire, corrompere, corrompere, acquisire. O posso mettertela in un altro modo, se vuoi: Toccare, corrompere e quindi acquisire o toccare, acquisire e quindi corrompere. È andata avanti così per secoli, avanti, avanti e avanti. Questo e nient’altro, a volte di nascosto, a volte bruscamente, a volte con delicatezza, a volte brutalmente, ma è andata avanti così. Eppure, in un solo modo, come un assalto di ratti da un’imboscata. Perché per questa vittoria è necessario che l’altra parte, quella alta grande e nobile, non debba entrare in nessuna disputa. Non doveva esserci alcun tipo di lotta, solo l’improvvisa scomparsa di una parte, ossia la scomparsa dell’eccelso, del grandioso e del nobile. Così che ora i vincitori che attaccano dall’imboscata comandano la terra, e non c’è un solo minuscolo angolo dove si possa nascondere loro qualcosa, perché tutto ciò su cui posano le mani è loro. Anche ciò che pensiamo non possano raggiungere – ma che loro raggiungono – è loro. Perché il cielo è già loro, e tutti nostri sogni. Loro è il momento, la natura, l’infinito silenzio. Anche l’immortalità è loro, capisci? Tutto, tutto è perso per sempre! E i tanti nobili, grandiosi ed eccelsi stettero lì fermi, se così si può dire. Si sono fermati a questo punto, e dovettero comprendere ed accettare che non ci sono né dio né dei. E gli eccelsi, i grandiosi e i nobili dovevano comprendere ciò sin dall’inizio. Ma ovviamente, erano piuttosto incapaci a comprenderlo. Ci credevano e lo accettavano, ma non lo comprendevano. Se ne stettero lì, disorientati ma non rassegnati, finché qualcosa – una scintilla dal cervello – finalmente li illuminò. E d’un tratto si resero conto che non ci sono né dio né dei. D’un tratto videro che non esiste né bene né male. Poi videro e compresero che se così era, allora nemmeno loro stessi esistevano! Vedi, secondo me questo potrebbe essere stato il momento in cui possiamo dire che si sono estinti, si sono spenti. Estinti, spenti come il fuoco lasciato bruciare nel prato. Uno perdeva costantemente, l’altro vinceva costantemente. Sconfitta, vittoria, sconfitta, vittoria, e un giorno – qui nei dintorni – ho dovuto realizzare, e ho realizzato, che mi sbagliavo, davvero mi sbagliavo quando pensavo che non c’è mai stato e non poteva esserci alcun cambiamento qui sulla Terra. Perché credimi, ora so che questo cambiamento si è davvero verificato. specchioscuro.it

domenica 18 maggio 2025

Simone Cristicchi - HappyNext. Alla ricerca della felicità | La nave di Teseo +

Ispirandosi a "Comizi d'amore" di Pasolini, Simone Cristicchi crea per il lettore un percorso in sette parole chiave – attenzione, lentezza, umiltà, cambiamento, memoria, talento, noi – in cui trovano spazio aneddoti, racconti e interviste, che ci accompagna nella sorprendente scoperta del senso profondo di questa ricerca per ciascuno di noi.

Felicità: cosa significa davvero? In cosa risiede? Da sempre il genere umano concentra i suoi sforzi per afferrarla, per coglierla tanto nel fascino delle grandi idee quando nella meraviglia delle piccole cose. Eppure, raramente si può dire di esserci riusciti. In questo libro – parte di un progetto più ampio, che comprende anche uno spettacolo teatrale dal titolo omonimo e un film documentario di Andrea Cocchi – si sceglie di provare a spiegare cosa la felicità rappresenti, al riparo da facili entusiasmi e conclusioni affrettate. La ricerca della felicità si sposa, infatti, con l'inesauribile curiosità di Simone Cristicchi, qui viaggiatore insieme al lettore, il quale, attraverso la filosofia, la meditazione e la fede, ci parla della bellezza, della vitalità, del tempo, del senso di appartenenza e di comunità, di musica e di storie.

  • Autore: Simone Cristicchi
  • Editore: La nave di Teseo +
  • Anno edizione: 2021
  • In commercio dal: 20 aprile 2021
  • Pagine: 156 p., Brossura
  • EAN: 9788893950893
  • www.ibs.it

sabato 10 maggio 2025

Giampaolo Pansa - Ti condurrò fuori dalla notte | Sperling & Kupfer

ISBN: 9788820027452
EDITORE: Sperling & Kupfer
AUTORE: Giampaolo Pansa
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1998
COLLANA: Narrativa
Nel centro di Parigi, in una grande casa da ricchi, vive Angela Mercier, una giovane donna dal corpo malizioso e dallo sguardo determinato. Un giorno del febbraio 1997, Angela apprende che in Italia è sparito all’improvviso il famoso giornalista Bruno Viotti. Molti lo danno per morto, ma la ragazza, spinta da una ragione che soltanto lei conosce, si mette in caccia per trovarlo e fargli pagare un conto che riguarda la propria vita. Viotti è ancora in grado di saldare il debito?
Angela tenta di scoprirlo con un viaggio a ritroso nell’esistenza del giornalista, per capire quale uomo sia stato e sciogliere l’enigma che avvolge la sua fuga dal mondo. Una forza sconosciuta, nient’altro che il destino, la spinge ad approdare in Sardegna, sulla costa delle miniere scomparse. Un pianeta dalla bellezza intatta e anche un luogo di magie, di premonizioni e di fantasmi, che emergono dalle viscere di quell’Eldorado barbarico dove, un tempo, si celavano tesori d’argento, di piombo e di zinco e dove migliaia di uomini e di donne hanno lavorato e sofferto come schiavi. Fra le dune di Piscinas, un immenso altare di sabbia eretto dal vento, e il cupo castello di Ingurtosu, Angela risolve il suo problema, ma ne incontra un altro: la ferocia di una guerra che lei non ha conosciuto, quella del terrorismo che ha insanguinato l’Italia per vent’anni. Viotti è stato inghiottito da questa notte interminabile, piena di morti che ritornano, gonfia di ossessioni capaci di tormentare chi ha assistito impotente a tanti delitti... 
Più ancora che nei precedenti romanzi, Pansa sa fondere qui l’invenzione narrativa e la storia di una strage senza fine. Da piazza Fontana all’ultimo crimine delle Brigate rosse, le figure create dalla sua fantasia s’intrecciano con le persone vere che hanno sofferto per uno scontro folle, ingaggiato da una parte sola. Bisogna ricordare tutto o è più saggio dimenticare? Toccherà ad Angela rispondere al dilemma e condurre fuori dalla notte quel Bruno Viotti tanto cercato: un cinquantenne bizzarro, forte e debole, testardo e impaurito, al quale la ragazza di Parigi è legata da un segreto che neppure lui immagina. Sarà questo segreto ad aspettare al varco i lettori, per prenderli di soppiatto, come in un agguato. E qui, ad attenderli, troveranno una vicenda d’amore di un genere speciale, che tutti noi abbiamo in qualche modo vissuto.

RITA INDIANA - Papi

Papi è il suo papà, ma è anche un santo, un mecenate, un supereroe, un mago, un benefattore. E lei lo racconta come il migliore papà del mondo, e lo guarda con gli occhi dell’amore e dell’attesa. Perché Papi sta arrivando, arriverà. E un giorno Papi è morto, anche se poi telefona dagli Stati Uniti per dire che tornerà presto; un altro giorno è stato rapito, anche se poi passa a prenderla in Mercedes, vestito da rockstar, con catene d’oro al petto e Nike gigantesche ai piedi. Dalle sue tasche escono rotoli e rotoli di banconote, e tutti lo omaggiano, lo imitano, lo adulano. Perché Papi, in verità, è un narcos, ed è violento e pericoloso, anche se lei, la ragazzina senza nome protagonista del romanzo, con lui si sente potente, felice e terribilmente viva. Dopo I gatti non hanno nome, Rita Indiana ci consegna un libro furioso, appassionato, esplosivo, dedicato al potere della fantasia sulla realtà e all’amore di una figlia per il padre.
Questo libro è per chi adora restare in pigiama la domenica a guardare i cartoni animati, per i due cuori di Hit-Girl e Big Daddy, che battono all’unisono nel mondo reale e in quello dell’immaginazione, per chi ama la Caribbean queen di Billy Ocean, e per chi crede al potere della fantasia tanto da affidare a un giubbotto tutte le risposte sulla vita e sulla morte.
Rita Indiana è nata nel 1977 a Santo Domingo. Figura chiave della letteratura caraibica contemporanea e leader della band di merengue alternativo Rita Indiana y los Misterios, ha scritto romanzi e racconti, tradotti negli Usa, tra cui Ruminantes, Ciencia succión e Papi. Blogger, conduttrice radiofonica, Rita è attivista del movimento per i diritti lgbt