La seconda guerra cecena fu un conflitto armato combattuto tra il 1999 e il 2009 in territorio ceceno dall'esercito della Federazione russa, per riottenere il controllo dei territori conquistati dai separatisti ceceni.
Il conflitto ha avuto inizio con una invasione in territorio russo, in particolare nella repubblica del Caucaso settentrionale del Daghestan, da parte dei gruppi delle Brigate Internazionali Islamiche (miliziani non inquadrati nell'esercito nazionale ceceno), e come rappresaglia da parte russa degli attentati terroristici avvenuti nelle città russe di Bujnaksk, Mosca e Volgodonsk, dei quali il governo russo accusò i ribelli ceceni. I risultati ribaltarono completamente l'esito della prima guerra cecena, nella quale la maggioranza del territorio ceceno divenne parte dell'autoproclamatasi Repubblica cecena di Ichkeria. Nonostante il conflitto sia considerato a livello internazionale come una lotta intestina all'interno della Federazione russa, esso ha attirato numerose bande di guerriglieri appartenenti alla Jihād islamica, che combatterono al fianco dei separatisti ceceni. All'inizio della campagna le forze militari russe ed i gruppi paramilitari dei lealisti ceceni hanno affrontato i separatisti ceceni e, dopo un lungo assedio durante l'inverno del 1999, sono riusciti a riconquistare la capitale Grozny.
Nel maggio del 2000 le truppe della Federazione Russa hanno ristabilito il controllo sul territorio ceceno dopo un'imponente campagna su vasta scala, scatenando tuttavia l'insorgere di focolai di guerriglia nella regione del Caucaso settentrionale, provocando gravi perdite fra le truppe russe e sfidando il processo di ripristino dell'autorità russa sul territorio ceceno. Purtroppo l'acuirsi e l'inasprirsi di questo conflitto ha comportato il mancato rispetto dei diritti umani da entrambe le parti, con la conseguente condanna della comunità internazionale. Nonostante l'esercito della Federazione Russa ed i suoi alleati lealisti ceceni abbiano notevolmente indebolito la presenza dei ribelli, tuttavia questi ultimi nella regione del Caucaso settentrionale hanno sostituito al conflitto aperto la tattica della guerriglia e del terrorismo, spingendosi anche nelle regioni circostanti. L'esatta stima delle perdite di questa guerra è tuttora sconosciuta, anche se fonti non ufficiali contano un numero di circa 25.000 - 50.000 vittime tra morti, feriti e dispersi, molti dei quali tra i civili.
Il 16 aprile 2009 le operazioni contro il terrorismo in Cecenia sono state dichiarate ufficialmente concluse.
A seguito della dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991 la popolazione cecena dichiarò la propria indipendenza e nel 1992 i leader politici di Cecenia ed Inguscezia firmarono un accordo in virtù del quale la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno-Inguscia si sarebbe divisa in due territori, quello dell'Inguscezia che venne incorporato nella neonata Federazione russa e la Cecenia dichiaratasi indipendente. Tuttavia sorse un acceso dibattito all'interno delle forze politiche cecene, divise tra lealisti e separatisti, guidati dal nazionalista Džochar Dudaev, che portò ad una vera e propria guerra civile ed alla fuga in massa di migliaia di persone di origine etnica non-cecena. Nel 1994 scoppiò la Prima guerra cecena con l'occupazione da parte delle truppe russe del territorio ceceno per ristabilire l'ordine costituito. Seguirono due anni di combattimenti e di massacri che portarono alla morte di circa 100.000 persone, e che si conclusero con l'accordo per il cessate il fuoco a Khasavyurt nel 1996, che prevedeva il ritiro delle truppe russe dal territorio ceceno.
Il 7 marzo 1999 il ministro dell'interno Sergej Stepašin, in risposta al rapimento del generale Gennadij Špigun chiese un'invasione della Cecenia. Il piano di Stepašin venne visionato da Primo Ministro Evgenij Primakov; Stepašin più tardi disse: «La decisione di invadere la Cecenia venne presa nel marzo 1999...Venni preparato per un intervento attivo. Pianificammo di arrivare sul lato nord del fiume Terek per agosto-settembre (del 1999). Questo (la guerra) sarebbe avvenuto a prescindere dagli attacchi in Russia... Putin non scoprì niente di nuovo. Su questo potete chiedere a lui. A quel tempo era direttore del FSB e aveva tutte le informazioni.»
Secondo Robert Bruce Ware (professore alla Southern Illinois University Edwardsville esperto di questioni caucasiche) questi piani devono essere considerati come di riserva. Tra la fine di agosto e settembre del 1999 la Russia attuò una pesante campagna di bombardamenti aerei sulla Cecenia, con l'obiettivo di eliminare gran parte dei movimenti di guerriglieri che continuavano a minacciare i confini con il Daghestan. I raid aerei russi provocarono centinaia di vittime tra i civili, forzando almeno 100.000 a cercare rifugio nella vicina Inguscezia, che si appellò alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie per far fronte a questo vasto esodo di profughi ceceni. Il 2 ottobre 1999 il Ministro per le Situazioni d'Emergenza russo dichiarò pubblicamente l'esodo di circa 78.000 civili ceceni a causa dei bombardamenti russi, molti dei quali cercavano rifugio in Inguscezia, con una media di 5.000-6.000 persone al giorno.
Il 22 settembre 1999 il viceministro degli Interni russo Igor' Zubov affermò che le truppe russe avevano ormai accerchiato le forze cecene ed erano pronte a riprendere il controllo del territorio ceceno, ma che tuttavia i vertici militari erano contrari ad una penetrazione in massa in Cecenia per l'ingente quantità di perdite che questa avrebbe comportato. Alla fine di settembre le forze militari russe attuarono numerose incursioni in territorio ceceno, conquistando diversi punti strategici. Il conflitto ceceno entrò in una nuova fase il 1º ottobre 1999 quando il neo Primo Ministro russo Vladimir Putin dichiarò illegittima l'autorità del presidente ceceno Aslan Maschadov così come quella del Parlamento ceceno. Al tempo stesso Putin annunciò che sarebbe stata avviata un'offensiva terrestre che si sarebbe limitata a raggiungere il fiume Terek, tagliando dal resto della Cecenia la parte settentrionale. Le intenzioni di Putin erano quelle di isolare la regione settentrionale della Cecenia e creare così un cordone sanitario che proteggessero il confine russo da ulteriori incursioni dei ribelli. Tuttavia nei mesi successivi si scoprì che una simile strategia sarebbe stata insufficiente per eliminare il problema dei ribelli ceceni e si optò per una campagna più massiccia.
L'esercito russo iniziò l'invasione che raggiunse con una certa facilità il fiume Terek il 5 ottobre 1999, durante le manovre un carro armato russo colpì un autobus pieno di civili uccidendone 11, e due giorni dopo un caccia-bombardiere Sukhoi Su-24 bombardò il villaggio di Elistanzhi, uccidendo 35 persone. Il 10 ottobre 1999 Maschadov presentò un piano di pace offrendo alle autorità russe la rottura con i signori della guerra responsabili delle incursioni e degli attentati. Oltre a ciò il Presidente ceceno si appellò alla Nato affinché si opponesse al conflitto fra le sue armate e quelle russe, ma senza esito positivo. Il 12 dicembre 1999 i soldati russi innalzarono la bandiera della Federazione Russa sul municipio della seconda città più importante della Cecenia, Gudermes, anche grazie alla defezione in campo ceceno dei due comandanti locali, i fratelli Jamadaev. Due giorni dopo 30 soldati russi vennero uccisi durante un contrattacco dei ribelli ceceni nei pressi del villaggio di Kulary, i cui combattimenti perdurarono fino al gennaio del 2000. Agli inizi di dicembre iniziò anche l'assedio di Groznyj. Esso venne preceduto da una strenua lotta per il controllo dei centri circostanti, che permise ai russi vittoriosi di porre la città sotto assedio a partire dal 2 febbraio 2000. Secondo alcuni portavoce russi nell'assedio alla città persero la vita 368 soldati e diversi militanti lealisti, infliggendo nel contempo gravi perdite ai ribelli ceceni, compresi numerosi comandanti. Il ministro della Difesa russo Igor' Sergeev annunciò che circa 1.500 ribelli ceceni vennero uccisi nel tentativo di lasciare la capitale.
L'assedio e la conquista di Groznyj lasciarono la città così devastata che nel 2003 le Nazioni Unite la proclamarono la città più devastata del mondo. Dalla conquista della capitale, tuttavia, i russi iniziarono a soffrire di gravi perdite a causa dei numerosi contrattacchi ceceni e degli agguati ai convogli. Il 26 gennaio 2000 il governo russo sostenne di aver subito 1.173 perdite. Come conseguenza di ciò si inasprirono le rappresaglie russe, la più grave delle quali fu un attacco contro un convoglio protetto da bandiera bianca nei pressi del villaggio di Katyr-Yurt, che portò alla morte di 170 civili. Tra il giugno 2000 ed il settembre 2004 i ribelli ceceni hanno aggiunto alla loro strategia la tattica dell'attacco suicida. Dall'inizio di questa campagna ci sono stati circa 23 assalti ad altrettanti obiettivi militari sia all'interno sia oltre i confini della Cecenia. Numerosi sono poi stati gli omicidi politici perpetrati da entrambe le parti, tra i quali occorre annoverare l'assassinio dell'ex presidente separatista ceceno Zelimkhan Yandarbiyev, in esilio in Qatar del 13 febbraio 2004 e quello del presidente ceceno filo-russo Achmat Kadyrov il 9 maggio 2004 durante una parata commemorativa a Groznyj. Nonostante le acclarate violazioni dei diritti umani da parte di entrambi gli schieramenti, la comunità internazionale ha faticato visibilmente ad andare oltre una semplice condanna politica del conflitto, sottraendosi sempre all'eventuale applicazione di sanzioni economiche o embarghi. Emblema di questa inazione occidentale furono le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti d'America, Bill Clinton, il quale già all'epoca del primo conflitto in Cecenia (1994-1996) aveva affermato in un incontro a Mosca con Boris Eltsin, che la Cecenia fosse parte integrante della Russia. Ancor più netta fu la sua posizione nel 1999, quando in una conferenza presidenziale a Washington tenutasi l'8 dicembre di quell'anno, Clinton ribadì che non era interesse degli Stati Uniti sanzionare la Russia per le vicende cecene. Linea morbida fu adottata anche dal Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan che si limitò a richiamare i combattenti "alla precauzione" chiedendo loro di "fare il possibile per limitare le vittime civili", e dall'Unione Europea che si dichiarò "profondamente scossa per gli avvenimenti in Cecenia" auspicando un "immediato cessate il fuoco", senza mai fare riferimento ad alcuna possibile sanzione economica. Il 2 febbraio 2005 Aslan Maschadov, leader dei ribelli ceceni, lanciò un invito per un cessate il fuoco fino al successivo 22 febbraio (giorno precedente l'anniversario della deportazione staliniana dei ceceni). L'invito venne lanciato da un sito web dei separatisti ceceni, inviato al presidente Putin e descritto come un gesto di buona volontà. L'8 marzo 2005 Maschadov venne ucciso durante un'operazione delle truppe speciali russe a nord-est di Groznyj. Poco dopo la morte di Maschadov, il consiglio dei ribelli ceceni annunciò che la guida era stata assunta da Abdul-Halim Sadulayev, una manovra approvata velocemente da Šamil Basaev. Il 2 febbraio 2006 Sadulayev apportò diversi cambiamenti all'interno del governo ordinando a tutti i suoi membri di muoversi solo all'interno del territorio ceceno; tra le altre cose rimosse il primo vice-premier Achmed Zakaev. Sadulayev venne ucciso a sua volta nel giugno 2006, a capo della guerriglia venne eletto Doku Umarov. Il presidente della Cecenia, ed ex separatista, Ramzan Kadyrov ha dichiarato la fine delle ostilità nel marzo 2009. Il 27 marzo 2009 il Presidente russo Dmitry Medvedev incontrò Alexander Bortnikov, il direttore dell'FSB per discutere la fine ufficiale delle operazioni antiterrorismo in Cecenia. Sebbene le ostilità siano ufficialmente cessate il 16 aprile 2009, a maggio dello stesso anno erano ancora attivi circa 480 insorti, sotto la guida di Umarov. Gli ufficiali russi e i ribelli ceceni hanno regolarmente e ripetutamente accusato i propri avversari di aver commesso diversi crimini di guerra incluso: rapimento, omicidio, presa di ostaggi, saccheggio, stupro e varie altre violazioni delle leggi di guerra. Organizzazioni umanitarie e internazionali tra cui il Consiglio d'Europa e Amnesty International hanno criticato entrambi gli schieramenti di "palesi e costanti" violazioni del Diritto internazionale umanitario. I gruppi russi per i diritti umani hanno stimato che in Cecenia ci sono state 5.000 sparizioni forzate dal 1999.
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