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domenica 9 novembre 2025

Alessandro Tassoni - La secchia rapita

«Vorrei cantar quel memorando sdegno

ch’infiammò già ne’ fieri petti umani

un’infelice e vil Secchia di legno

che tolsero a i Petroni i Gemignani.

[...]

Ma la Secchia fu subito serrata

ne la torre maggior dove ancor stassi,

in alto per trofeo posta e legata

con una gran catena a’ curvi sassi;

s’entra per cinque porte ov’è guardata

e non è cavalier che di là passi

né pellegrin di conto, il qual non voglia

veder sì degna e glorïosa spoglia.»

(Alessandro Tassoni, La secchia rapita, 1.1, 1.63)

La secchia rapita è un poema eroicomico in ottave in dodici canti scritto da Alessandro Tassoni.

Una prima stesura è del 1614, pubblicata a Parigi solo nel 1622 sotto lo pseudonimo di Aldrovinci Melisone. Superati i controlli della Congregazione dell'Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica, con un testo emendato in pochissimi punti dallo stesso Papa Urbano VIII, Tassoni fece stampare nel 1624 la prima edizione a proprio nome. La terza versione, definitiva, fu stampata a Venezia nel 1630.

Il poema narra la storia del conflitto tra i liberi comuni di Bologna e Modena al tempo di Federico II di Svevia. Durante la battaglia di Zappolino, i bolognesi, dopo un'incursione nel territorio di Modena, furono respinti e inseguiti fino alla loro città; i modenesi si fermarono a un pozzo a dissetarsi e portarono via come trofeo di guerra una secchia di legno.

Al rifiuto dei modenesi di riconsegnare la secchia, i bolognesi dichiarano loro guerra. Ad essa partecipano, distribuiti tra le due parti, gli dei dell'Olimpo: Apollo e Minerva si schierano a fianco di Bologna, mentre Marte, Venere e Bacco con Modena. Anche re Enzo, figlio dell'imperatore Federico II, parteggia per loro. Un elemento nuovo introdotto dal Tassoni è l'entrata in campo di un esercito di donne, guidato da Renoppia.

La guerra per la secchia rapita si protrae per qualche tempo fra battaglie, duelli, tregue e tornei, intercalati da episodi comici e burleschi che hanno spesso come protagonista il conte di Culagna. Innamoratosi di Renoppia, sfida a duello il prode Melindo e lo vince, secondo quanto predetto dalla profezia che aggiudica la vittoria al più debole e vile; e tenta di avvelenare la moglie, ma beve la pozione per errore ed è costretto a confessare la malefatta. Alla fine il conflitto si conclude grazie a trattative condotte da un legato pontificio, che stabiliscono le seguenti condizioni: i bolognesi possono tenersi re Enzo, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta; i modenesi, la secchia.

L'immaginario conte di Culagna è forse il personaggio più noto dell'opera e ne rappresenta bene lo spirito volto, per esplicita ammissione del Tassoni, al puro intrattenimento del lettore. Ecco come viene presentato:

«Chi dal monte il dì sesto, e chi dal piano

dispiegò le bandiere in un istante;

e 'l primo ch'apparisse a la campagna

fu il conte de la Rocca di Culagna.

Quest'era un cavalier bravo e galante,

filosofo poeta e bacchettone

ch'era fuor de' perigli un Sacripante,

ma ne' perigli un pezzo di polmone.

Spesso ammazzato avea qualche gigante,

e si scopriva poi ch'era un cappone,

onde i fanciulli dietro di lontano

gli soleano gridar: - Viva Martano -.

Avea ducento scrocchi in una schiera,

mangiati da la fame e pidocchiosi;

ma egli dicea ch'eran duo mila e ch'era

una falange d'uomini famosi:

dipinto avea un pavon ne la bandiera

con ricami di seta e d'or pomposi:

l'armatura d'argento e molto adorna;

e in testa un gran cimier di piume e corna.»

L'uomo si innamora di Renoppia e per farla sua pensa di uccidere la moglie. Rivela il piano al compagno romano Titta, che di rimando lo adula:

«"Conte, tu se' 'nu Papa, e tt' ajo detto

che nun c'è chi te pozza stare a petto"»

Il conte fanfarone ignora che Titta è l'amante di sua moglie: il cavaliere di nascosto mette la donna al corrente del piano mentre il conte va a procurarsi il veleno. A pranzo, il conte di nascosto aggiunge il veleno al piatto della moglie spacciandolo per pepe, quando però egli si volta, la contessa scambia i piatti: sarà così il marito a subire l'effetto del composto, peraltro non è veleno ma un purgante ed emetico, la cui azione causerà all'uomo una pessima figura nella pubblica piazza, quando gli sarà necessario uscire dal castello per l'impellente bisogno...  

Fondandosi sul poema del Tassoni, il librettista Gastone Boccherini scrisse un omonimo dramma eroicomico per musica, il quale fu musicato da Antonio Salieri e rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1772. Altre composizioni musicali si devono a Nicola Antonio Zingarelli nel 1793, a Francesco Bianchi nel 1794 (ambedue con libretto riveduto da Angelo Anelli), al sig. Sellerié nel 1836 e a Giulio Ricordi nel 1910 (revisione del libretto da parte di Renato Simoni) 

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