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venerdì 16 aprile 2021

#ParoleSenzaTempo. La stanza dello scirocco film diretto da Maurizio Sciarra, tratto dall'omonimo romanzo di Domenico Campana.

La stanza dello scirocco è un film del 1998 diretto dal regista Maurizio Sciarra. La pellicola è tratta dall'omonimo romanzo di Domenico Campana del 1986.
Con Giancarlo Giannini, Paolo De Vita, Tiziana Lodato, Francesco Benigno, Tony Sperandeo, Valentina Biasio, Lucia Sardo, Maria Terranova, Paola Pace, Maria Rosa Sapienza, Mimmo Cuticchio, Nino Cuticchio, Giorgio Guerrieri, Santo Pennisi, Antonello Puglisi, Pasquale Spadola, Anfleo Milazzo, Giorgio Sparacino, Ignazio Pappalardo, Antonello Grimaldi. Musiche composte da Eugenio Bennato.
Un anziano marchese, perseguitato dal fascismo, ritorna in patria per poter vendere una proprietà. Al suo arrivo nell'incendio del suo palazzo muore il suo maggiordomo. Per non subire le persecuzioni, il Marchese di Acquafurata decide di sostituirsi a lui per poter portare a termine indisturbato il suo piano. Il Partito fascista vorrebbe appropriarsi del palazzo. Ma invece il Marchese, complice il notaio Spatafora, fa ritrovare un falso testamento in cui si regala il palazzo alla coppia più povera del paese.
Entrano in possesso del palazzo due giovani sposi, Vincenzo Labate e sua moglie Rosalia. La bellezza e la ritrosia della giovane donna fanno innamorare l'anziano marchese, che dopo la partenza del marito, confessa il suo amore a Rosalia. La casa ha nel sottosuolo una stanza dello scirocco, sulla quale aleggia una leggenda. Costruita da architetti arabi, si dice che gridando tre volte al suo interno, tutto il palazzo crollerà, senza lasciare scampo ai nemici. Nella stanza si consuma il folle amore tra i due, fino a che i genitori di lei, che hanno subodorato i sentimenti della figlia per il Marchese, non la costringono a lasciare il palazzo per tornare a casa loro. Il Marchese la insegue, le dice che l'aspetterà nella stanza dello scirocco, e da lì la porterà con sé a Parigi, dopo aver beffato i suoi inseguitori fascisti. Ma l'attesa è vana. Al Marchese, in preda al deliro, sembra di sentire la voce della giovane, le urla il suo amore per tre volte, e il palazzo gli crolla addosso. Oramai disilluso, l'uomo va verso la fuga, al mare lo aspetta un motoscafo che lo porterà in salvo. Ma proprio lì troverà Rosalia, e insieme fuggiranno verso la libertà.
La stanza dello scirocco - quasi una leggenda, quasi una metafora - è una particolarità dell'architettura diciamo nobiliare della Sicilia: la stanza in cui trovare riparo e ricreazione nelle ore in cui il vento di sud-est dissecca, come dice l'antico poeta, la mente e le ginocchia. La si può anche immaginare come al centro di un labirinto, con dentro un Minotauro nato da ogni capricciosa e ardua promiscuità. A riparo del tempo meteorologico, la stanza dello scirocco è anche al riparo del tempo storico: per cui traslucide sovrapposizioni di epoche e di eventi vi si possono ricreare o, convergendo in un solo punto, dissolvervisi. Qualcosa di simile e con tentacolari significati, si ha il senso che accada in questa «storia» di Domenico Campana: quasi che la metafora del racconto di Nathaniel Hawthorne, cui l'autore fa ad un certo punto riferimento, venisse a calarsi in altra metafora: siciliana, «gattopardesca».
  • Domenico Campana
  • La stanza dello scirocco
  • 1986

  • La memoria n. 127
  • 124 pagine
  • EAN 9788838902895

sabato 10 aprile 2021

La medea di Porta Medina di Mastriani Francesco

Il romanzo è del 1881.L’incipit merita la citazione: “Verso i principii di questo secolo, alle mura di Castel Capuano o della Vicaria, come più comunemente dicesi dal nostro popolino, dalla parte che risponde alla cappella in cui venivano rinchiusi i condannati a morte, si vedevano esposte sei teste di afforcati.”.
Sono le teste di sei terribili assassini, tre donne e tre uomini.
Il romanzo si interessa di una di queste donne, Coletta Esposito. Trovatella (“era stata gittata nella famosa Buca la sera del 5 marzo 1774”), viene presa in moglie da “un certo Nunzio Pagliarella”, rigattiere “in fama di pessimo arnese”, “un ometto col viso tutto brizzolato di bollicole e pustole e col naso mangiato nelle amorose campagne, con un fulvo parrucchino in capo con l’appendice del codino, con due grosse gambe storte e marciose e con una indecente ventraia.”. Guarito dalla lue, mantiene la promessa fatta alla Madonna di sposare una delle trovatelle (“figlie della Madonna”) rinchiuse nella Santa Casa dell’Annunziata, ed esposte ogni anno, il 25 marzo, giorno dell’Annunziazione, al fine delle nozze.
Il cognome Esposito era comune a tutti i trovatelli.
Coletta aveva cercato di respingere il pretendente Nunzio.
Da subito capiamo che dovremo tenere d’occhio una certa dama che fa la sua comparsa all’improvviso, di cui ancora non si sa il nome, che cerca di evitare il matrimonio con il malaticcio e storpio Nunzio, e offre a Coletta di fare la domestica a casa sua, o in alternativa accettare una dote di mille ducati in caso di scelta delle sciagurate nozze: “Non mi sento di fare la serva. Accetto la dote, e sposerò il vecchio, purché questa dote sia a titolo di donazione a me fatta e della quale io possa liberamente disporre a mio piacimento.”.
Alla vista dei mille ducati, ecco che Mastriani ci dà un segnale e un più che esplicito avviso con questa descrizione: “Gli occhi di Coletta brillarono di fosca luce alla vista di quell’oro; e uno strano sorriso le balenò sul labbro.”.
Alcuni giorni dopo la Pasqua del 1792, si celebrano le nozze: “La sposa avea diciotto anni; lo sposo, sessantaquattro.”.
Volete sapere come trascorse la prima notte di matrimonio? Male, malissimo, e si può dire che non ci fu. L’avvertimento di Coletta fu più che esplicito e definitivo: “Senti, brutto vecchio infistolito, carogna fradicia di orangotango, se tu ardisci di mettermi addosso le tue mani schifose o di toccarmi un’altra volta il viso con quel tuo muso di porco ti giuro per la Madonna dell’Annunziata che io ti strozzo con le mie mani e ti caccio fuori cotesti tuoi occhi ripieni di caccole. Ah! tu ti pensi che io ti abbia sposato veramente, e che tu possa fare di me il tuo piacimento! Puh! per la faccia tua fetente, ti voglio far pagare ben caro la vergogna che tu mi fosti cagione nel mezzo delle mie compagne quando ti colse il prurito di lanciarmi addosso il tuo fazzoletto [era il segnale della scelta]. Io non so chi mi tenesse allora che io non ti mettessi le mani al collo e ti strangolassi, od almeno che io non ti sciupassi cotesto sucido parrucchino che ti copre la zucca. Sappilo una volta per sempre, che io ti ho sposato per i mille ducati che mi dette quella signora, che certamente dovette essere la Madonna che ebbe di me compassione; ma non darti a credere che tu possa rappresentar mai a quattr’occhi con me la parte di marito, perché se ciò tu ti attenti di fare, ti sgraffio con le mie unghie tutte coteste bollicine che hai sul viso, e ti fo piovere sangue come un santo Lazzaro. Hai capito, buffone? Ora vatti a digerire il vino, e lasciami tranquilla, che io passerò qui il resto della notte; e domattina vedremo come si hanno da acconciare queste partite.”. www.bartolomeodimonaco.it
La medea di Porta Medina
EAN: 9788870332872
Data di uscita: 01/07/1988Pagine: 284

venerdì 9 aprile 2021

#PasseggiArte2021parolesenzatempo. Mario Benedetti - La tregua

“Signore maturo, esperto, posato, quarantanove anni, senza gravi acciacchi, ottimo stipendio”: cosí si descriverebbe Martín Santomé, il protagonista di questo classico della letteratura sudamericana. Schiacciato dalla noia di una vita da impiegato di commercio, vedovo con tre figli ormai grandi, guarda al trascorrere del tempo con tranquilla disillusione. E tutto rimarrebbe immobile fino al suo pensionamento, se in ufficio non venisse assunta la giovane Avellaneda, timida e chiusa in una silenziosa bellezza: per lei Santomé sente nascere un amore insperato, che lo porterà a vivere una relazione clandestina, rimettendo il tempo in movimento. Come Svevo in Senilità, La tregua racconta la capacità straordinaria che ha la vita di prendere il vento e gonfiare le vele, per poi, caduto il vento, tornare alla quiete della bonaccia. Con questo romanzo Benedetti ha acquistato notorietà internazionale: il libro ha avuto piú di cento edizioni, è stato tradotto in una ventina di lingue e adattato per il teatro, la radio, la televisione e il cinema. www.edizioninottetempo.it
Mario Benedetti
La tregua
ISBN 9788874525188
Data di pubblicazione: 16-10-2014
N. Pagine: 248
Formato libro: 14x20
Traduzione di Traduzione di Francesco Saba Sardi
Uscito nel 1960, La tregua è un “piccolo classico della letteratura sudamericana“, riscoperto oltre quarant´anni dopo grazie alla pubblicazione da parte dell´editore nottetempo (con la traduzione di Francesco Saba Sardi).
Quello che leggiamo è il diario di Martín Santomé: quarantanovenne di Montevideo, vedovo con tre figli, impiegato di commercio prossimo alla pensione.
Tutto è stato sempre troppo obbligatorio perché potessi sentirmi felice.
Una voce disincantata, malinconica, la voce di un uomo fondamentalmente molto solo che si costringe a far scorrere la vita senza grandi scossoni, emozioni e coinvolgimenti. Eppure gli scossoni arrivano che lo si voglia o no, emozioni e coinvolgimenti anche.
Nel suo ufficio vengono assunti nuovi impiegati, tra cui Laura Avellaneda, ventiquattrenne che liquida inizialmente come trascurabile, per poi innamorarsene follemente (e da lei ricambiato). Così vediamo Santomé lasciarsi poco a poco andare, abbandonarsi a un sentimento che quasi gli sembra nuovo: un sentimento che si nutre di presente, che resta sempre discreto pur facendosi sempre più intenso.
Abbiamo mangiato. Parlato. Riso. Fatto l´amore. È andato tutto talmente a gonfie vele, che non vale la pena di scriverne. Mi sto ripetendo: “Fa´ che duri,” e per fare pressione sul buon Dio tocco legno.
La loro relazione inizia come clandestina, anche per via della differenza d´età. Santomé tituba e si chiede se le tue remore riflettano un grande amore nei confronti di Avellaneda o siano, piuttosto, fatte d´egoismo ed inerzia.
C´è quella che si chiama realtà, e ci sono quelle che si chiamano le apparenze. […] Io la amo a livello di quella che si chiama realtà, ma i problemi si pongono quando penso a quelle che si chiamano apparenze.
Ma ciò non gli impedisce di affittare ed arredare un appartamentino solo per loro due, non gli impedisce nemmeno di passeggiare insieme per le vie della città, sfilando davanti alla Suocera (ovvero la madre della defunta moglie).
Avellaneda — chiamata sempre per cognome da Santomé — è un personaggio straordinario, così sperduta e delicata, che ama di un amore così ingenuo e tuttavia (o forse proprio per questo) così tenace. È lei, più che Santomé, a rendere questo romanzo eccezionale.
A volte ho l´impressione che Avellane da sia come uno stampo che mi si è sistemato nel petto e che lo dilati e lo renda ogni giorno un po´ più capace di provare emozioni.
La scrittura di Benedetti è asciutta eppure lirica, sembra dire poco ma suggerisce tantissimo. E sarà per la forma diaristica, che in qualche modo stimola l´empatia, ma soprattutto le ultime pagine — quelle che seguono il colpo di scena che proprio non ci si aspetta — fanno cadere d´improvviso sul lettore una sensazione di struggimento fuori dal comune.
La tregua è un libro dolente e doloroso, davvero a suo modo un piccolo capolavoro.
È evidente che Dio mi ha riservato un destino oscuro. Non proprio crudele. Semplicemente oscuro. È evidente pure che mi ha concesso una tregua. www.elisaocchipinti.com

mercoledì 24 febbraio 2021

Corrado Stajano - Un eroe borghese | Un eroe borghese film diretto da Michele Placido

L’Italia degli anni settanta è l’Italia della loggia P2, della strategia della tensione, del terrorismo rosso e nero, l’Italia in cui la nascente società civile scopre che la democrazia non è un bene acquisito una volta per sempre. Giorgio Ambrosoli è un avvocato milanese, conservatore, cattolico, in gioventù monarchico. Muore nella notte di una Milano deserta, ucciso da un sicario venuto dall’America, l’11 luglio 1979.
Nel settembre 1974 la Banca d’Italia aveva nominato Ambrosoli commissario liquidatore dello scricchiolante impero bancario di Michele Sindona. Uomo d’affari romanzesco, spregiudicato equilibrista della finanza internazionale, amico di ministri della Repubblica, mafiosi siciliani e narcotrafficanti italoamericani, bene inserito negli ambienti vaticani, massonici, imprenditoriali, Sindona era per Giulio Andreotti «il salvatore della lira». Basta poco ad Ambrosoli per scoprire, allibito, il castello di trucchi contabili, operazioni speculative, autofinanziamenti truffaldini su cui si è retto l’inganno della sindoniana Banca Privata Italiana. Sfatando le previsioni di chi lo vorrebbe influenzabile, sensibile agli equilibri politici, il «moderato» Ambrosoli si rivela invece un osso durissimo, fedele alla propria integrità morale nonostante le pressioni dall’alto, i tentativi di corruzione che sfociano in minacce, la solitudine in cui gradualmente sprofonda. Fino all’omicidio, ordinato da Sindona. «Se l’andava cercando» commenterà nel 2010 Giulio Andreotti, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio.
La storia di Giorgio Ambrosoli – che Corrado Stajano ricostruisce in un’inchiesta incalzante, fulminea nelle sue giustapposizioni impreviste di fatti e scene, sempre attenta alla verità del particolare – è un frammento illuminante, tragicamente emblematico, della storia politica italiana. In terra di illegalità sistemica, di poteri criminali che si saldano al potere istituzionale, di compromissioni a buon mercato e tentazioni consociative, nell’Italia corrotta di ieri come in quella di oggi, l’onestà è la più imperdonabile delle virtù. E un servitore dello Stato finisce per diventare un ribelle solitario, un lottatore coraggioso: Un eroe borghese, suo malgrado. www.ilsaggiatore.com
    Un eroe borghese è un film del 1994
    , diretto da Michele Placido, con Fabrizio Bentivoglio e Michele Placido. Durata 93 minuti. Distribuito da ISTITUTO LUCE - ITALNOLEGGIO CINEMATOGRAFICO (1995) - MONDADORI VIDEO, L'UNITA' VIDEO.
  • Cast: Fabrizio Bentivoglio, Michele Placido, Omero Antonutti, Philippine Leroy, Daan Hugaert, Laura Betti, Laure Killing, Ricky Tognazzi, Giuliano Montaldo
    "L'intelligenza degli sceneggiatori, Graziano Diana e Angelo Pasquini, e del regista Placido consiste nel dare ai personaggi le parole e le azioni che essi meritano. Di non alternarle mai, di non ingigantirle. Neppure Sindona è visto come un re della città. Sia pure abilissimo manovratore, si sente già alle corde. E cerca, insistentemente, la mossa giusta con cui attenuare la lucidità dell'avversario. Ma, e questa è la notevole intuizione di Stajano e poi di Placido, l'avvocato Ambrosoli non cerca nemici. Gli hanno affidato un compito e lui lo assolve secondo coscienza: ripristinare il rispetto delle leggi, dell'etica che presiede sempre a un ordinamento giuridico, a dispetti anche di coloro che vanno amministrando la cosa pubblica. (Francesco Bolzoni, 'L'Avvenire', 2 marzo 1995)"Di una pellicola che sta invadendo le pagine dei giornali per i suoi contenuti etici e politici, alla critica restano da segnalare i valori espressivi, il modo sempre efficace con cui il racconto è messo in scena, scandito nei ritmi e rispettato nella sua rigorosa attendibilità. Nei confronti di una classe politica oggi sotto accusa l'evento può paragonarsi alla recita dell'uccisione del padre che Amleto organizza per l'assassino: possibile che non provochi qualche trasalimento anche nella masnada degli impuniti che vediamo ogni sera mentire sul video? Quanto al problema se abbiamo o no bisogno di eroi, il film di Placido ci conferma che non dobbiamo comunque cercarli sulla base di discriminazioni ideologiche ma semplicemente tra la gente disposta a ogni rischio pur di fare bene il proprio lavoro." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 3 marzo 1995)

martedì 9 febbraio 2021

“La ghianda e la spiga – Giuseppe Di Vagno e le origini del Fascismo”, edizioni Progedit

“Questa non è la storia breve e intensa solo di un uomo, ma di un’epoca, di un fardello che le ultime generazioni si trascinano dietro. La sua ombra ci insegue ancora oggi e interroga il tribunale della nostra coscienza collettiva. Ha inizio in un borgo agricolo del Sud barese, Conversano, che a fine Ottocento contava circa dodicimila anime. Il suo territorio, cinto dalla Murgia e sospeso in una apparente fatale immobilità, era aspro e brullo, quasi lunare: bruciato dal sole, interrotto qua e là da qualche cardo selvatico nella macchia verde e da rari e sparsi casolari isolati. Ma i suoi colori, che si facevano largo soprattutto in primavera tra le pietre e le sterpaglie e i lineamenti dei suoi declivi, erano capaci di aprire i pensieri. Qui un ragazzino si divertiva a rincorrere i suoi amici tra le contrade e le antiche mura, all’ombra del grande castello dei conti troneggiante sulla cittadina. Lo chiamavano tutti Peppino, Peppino Di Vagno. Gli dicevano che aveva lo sguardo vispo, attento; era solo un po’ più impacciato dei suoi coetanei. Talvolta si defilava per puntare il panorama che si protraeva sulla linea del mare verso la vicina Mola di Bari. Da quell’orizzonte annodava bei sogni di ragazzino pacato e riflessivo. La sua, come vedremo, è una storia di lotte per il riscatto sociale. In questo territorio, infatti, come nella gran parte del Mezzogiorno, emanciparsi era un’impresa che costava molta fatica. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, il sacrificio era la legge abituale e quotidiana che gravava sulle classi subalterne”.

Torna in libreria Giovanni Capurso con la biografia del primo parlamentare italiano ucciso per le idee che professava: “La ghianda e la spiga – Giuseppe Di Vagno e le origini del Fascismo”,edizioni Progedit (160 pagg., euro 13). L’opera, che celebra il centenario della morte dell’avvocato e deputato pugliese Giuseppe Di Vagno (1889-1921), si propone di ricostruirne vita e pensiero dai primi anni della formazione all’impegno pacifista e antimilitarista, dall’assistenza agli sfollati durante la Grande Guerra alle lotte per l’unità del Partito socialista italiano, dai soprusi dello squadrismo fascista all’elezione in Parlamento. Con questo libro, Capurso cerca di inquadrare la storia coraggiosa e drammatica del parlamentare pugliese all’interno della genesi del Fascismo. In tal senso, l’omicidio Di Vagno, secondo l’autore, costituì per Mussolini il colpo di grazia al fragile tentativo di realizzare a livello nazionale il Patto di pacificazione con le altre forze politiche del Paese. Peppino Di Vagno si spense alle 12.45 di lunedì 26 settembre 1921, lasciando la moglie in attesa di un bambino e l’anziana madre. “Una banda di fascisti della sua stessa città aveva abbattuto questa quercia che dava molta ombra alle loro ambizioni” riportava l’edizione parigina dell’Avanti!. L’assassinio trovò risonanza alla Camera ma, come suggerì il politico, giornalista e storico Gaetano Arfè, i deputati del Partito socialista, lacerati dalle lotte tra correnti, sul momento non colsero pienamente la portata di questo omicidio: per la prima volta nella storia d’Italia un parlamentare era stato ucciso per le idee che professava. Visto in questa luce, il delitto costituisce uno dei passaggi chiave nel processo che portò alla lunga dittatura fascista. Bilanciando il rigore storico con uno stile divulgativo, l’autore vuole rilanciarne una figura per troppo tempo accantonata dalla storiografia. Giuseppe Di Vagno fu un giovane ucciso all’età di appena trentadue anni per i suoi ideali. La sua vita coerente e coraggiosa spesa in nome delle libertà civili e della giustizia sociale, rappresenta un modello esemplare per le nuove generazioni che, in un mondo fondato sull’utile, corrono il rischio di perdere di vista i valori costitutivi della nostra civiltà. Il titolo della biografia La ghianda e la spiga, che riprende l’ultimo articolo di Di Vagno, intitolato La fiaba del grano (riportata nel testo), racchiude l’essenza degli ideali del giovane politico pugliese improntati alla ricerca della giustizia sociale: la ghianda è ciò che rimane al contadino dopo le faticose ore di lavoro passate sotto il sole, mentre la spiga, ovvero la parte migliore, va a chi gode passivamente del frutto del sacrificio altrui.

APPROFONDIMENTO: La ghianda e la spiga. Senso dell’opera

Può capitare che episodi fondamentali della nostra storia civile vengano marginalizzati dalla ricerca storiografia. È il caso del delitto di Giuseppe Di Vagno, il primo parlamentare ucciso dallo squadrismo fascista, esattamente cento anni fa. Questa è la tesi dello scrittore e saggista, attento ai temi del meridionalismo, Giovanni Capurso. Antimilitarista e pacifista convinto, Di Vagno fu internato due volte a causa della sua contrarietà alla partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale. Nel maggio 1921 venne eletto in Parlamento a poco più di trent’anni prendendo addirittura più voti dell’amico Giuseppe Di Vittorio, successivamente leader del sindacalismo italiano. Pochi mesi dopo, il giovane parlamentare venne freddamente raggiunto da alcuni colpi di pistola a Mola di Bari dopo l’ennesimo coraggioso comizio dove invitava tutte le forze politiche alla pace e alla concordia. Morì in ospedale il giorno seguente. Era il 26 settembre 1921. Durante il processo che ne seguì, nel pieno dell’ascesa del Fascismo, l’evento fu relegato a contrasti tra bande locali, nonostante Antonio Gramsci e altri intellettuali ne evidenziarono da subito la rilevanza assoluta. Anche il secondo processo che si aprì dopo la lunga notte del regime si chiuse nel clima assolutorio nato dalla voglia di ritornare alla normalità. In realtà, il delitto del “gigante buono”, come lo definì per la prima volta il fondatore del socialismo italiano Filippo Turati, è un fatto centrale nella genesi del Fascismo, in quanto ruppe il Patto di pacificazione che Mussolini stava faticosamente portando a termine e aprì definitivamente la strada a quell’anima del Fascismo più facinoroso, quello agrario. Insomma, senza quel delitto, la storia della nostra Italia forse avrebbe preso un strada diversa. Nessuno può dirlo con certezza. Ma il drammatico evento solleva sicuramente una questione sulla quale è importante riaprire un dibattito storico di ampio respiro.
La Progedit, fondata nel 1997, si è connotata per la sua impronta progettuale e per una forte professionalità al servizio degli autori. Ne sono emblema il logo – un calamaio che si radica e sboccia – e l’acronimo che dà il nome alla casa, mettendo insieme le iniziali di ‘Progetti’ e di ‘Editoriali’. Le numerose collane hanno ampliato lo spettro degli interessi dal mondo della ricerca e della formazione universitaria – in particolar modo della pedagogia, delle letterature, della storia, dell’architettura e dell’antropologia – alle risorse ambientali, alla saggistica d’attualità, alla narrativa, all’editoria per bambini, alla cultura materiale.
Giovanni Capurso è nato a Molfetta (Ba) nel 1978. È docente, scrittore e saggista, attento in particolare alle questioni legate al meridionalismo. Tra le sue pubblicazioni più recenti, ricordiamo i romanzi di formazione La vita dei pesci (Lecce 2017) e Il sentiero dei figli orfani (Viterbo 2019). Scrive per numerosi periodici e blog culturali.

Collana: Storia e MemoriaAnno di pubblicazione: 2021
Numero di pagine: 120
Prezzo: 13,00 €
ISBN 978-88-6194-500-5

venerdì 15 gennaio 2021

Il crepuscolo degli idoli libro di Friedrich Nietzsche

Copertina della prima edizione del 1889
1ª ed. originale 1889
Sottogenere filosofico
Il crepuscolo degli idoli (titolo originale Götzen-Dämmerung) è un libro di Friedrich Nietzsche, scritto nel 1888, e pubblicato nel 1889.
Originalmente intitolato Ozio di uno psicologo, fu poi rinominato Crepuscolo degl'idoli; come si filosofa col martello. Quest'ultimo titolo, in tedesco, è un gioco di parole sul titolo di un'opera di Richard Wagner, Il crepuscolo degli dei (Götterdämmerung).
Nietzsche critica la cultura tedesca dell'epoca, bollandola come grezza e lancia alcune frecciate di disapprovazione anche alle figure culturali della Francia, della Gran Bretagna e dell'Italia. Contro questi presunti rappresentanti della decadenza culturale, Nietzsche plaude a Cesare, a Napoleone, a Goethe, a Dostoevskij, a Tucidide ed ai Sofisti, visti come tipi umani più forti e più sani. In questo libro, Nietzsche espone la trasvalutazione di tutti i valori, quale suo ultimo e più importante progetto e dà una lettura del passato, nella quale, per una volta, i Romani prevalgono sui Greci, anche da un punto di vista culturale.
Egli stabilisce, all'inizio della sezione Il problema di Socrate, che il valore della vita è inestimabile ed ogni giudizio relativo ad esso rivela la tendenza a negare la vita o ad affermarla. Egli prova a mostrare come i filosofi da Socrate in poi fossero decadenti ed usassero la dialettica come uno strumento per l'autoconservazione, mentre l'autorità della tradizione perdeva, via via, d'importanza. Nel capitolo I quattro grandi errori, suggerisce che la gente, soprattutto i Cristiani, confonde l'effetto con la causa e che essi proiettano il proprio ego, la propria soggettività sulle altre cose, così creando il concetto illusorio dell'essere e, quindi, anche di Dio. Nietzsche critica il concetto di responsabilità e di volontà e suggerisce come tutto sia necessario in un'unità che non può essere né giudicata né condannata.
Nel proporre che il concetto di "libero arbitrio" sia un'illusione, egli conclude che ciò che la gente, solitamente, considera "vizio" altro non sia, in effetti, che "l'incapacità di non reagire a uno stimolo". Alla luce di ciò, il concetto di "moralità" diventa un mero strumento di controllo: «la dottrina del volere è stata inventata essenzialmente allo scopo di punire, ossia allo scopo del voler trovare colpevoli».
Crepuscolo degli idoli. Ovvero: come si filosofa col martello
«Gli uomini vennero pensati «liberi» [...] perché potessero diventare colpevoli: di conseguenza ogni azione doveva esser pensata come voluta, e l'origine di ogni azione riposta nella coscienza. [...] Oggi che siamo entrati nel movimento inverso, e che soprattutto noi immoralisti cerchiamo con tutte le forze di spazzar via dal mondo il concetto di colpa e il concetto di punizione e di purificare da essi la psicologia, la storia, la natura, le istituzioni e le sanzioni sociali, non esiste ai nostri occhi opposizione più radicale di quella dei teologi, che con il loro concetto di «ordinamento morale del mondo» continuano a contaminare l'innocenza del divenire per mezzo della «punizione» e della «colpa».
Il Cristianesimo è una metafisica del boia...» wikipedia
"La mia filosofia in compendio, un sommario buttato giù con grande temerità e precisione di tutte le mie eterodossie filosofiche più essenziali." Così Nietzsche definisce il Crepuscolo degli idoli in cui espone la teoria della "transvalutazione dei valori" fondata sulla dottrina della "volontà della potenza".
Errore della confusione tra la causa e l’effetto. — Non vi è errore più pericoloso di quello di confondere l’effetto con la causa: io chiamo ciò la vera perversione della ragione. Nondimeno questo errore fa parte delle più antiche e delle più recenti abitudini dell’umanità: esso è anche santificato tra di noi, esso si chiama «religione» e «morale». Ogni proposizione che formula la religione e la morale contiene questo errore; i preti ed i legislatori morali sono i promotori di questa perversione della ragione. Cito un esempio. Tutti conoscono il libro del celebre Cornaro ove l’autore raccomanda la sua dieta ristretta, come ricetta di una vita lunga e felice — e altrettanto virtuosa. Ben pochi libri sono stati tanto letti, ed oggi ancora, in Inghilterra, se ne stampano ogni anno molte migliaia di copie. Io sono persuaso che nessun libro (eccettuato la Bibbia, ben inteso) non ha mai fatto altrettanto male, non ha mai accorciato tante esistenze quanto quello strano libello il quale parte del resto da una buona intenzione. 

giovedì 14 gennaio 2021

La #Bacheca: #GENERAZIONI: I soliti ignoti film diretto da Mario Monicelli. - Ultimo viene il corvo di Italo Calvino.

I soliti ignoti è un film del 1958 diretto da Mario Monicelli.
Considerato uno dei capolavori del cinema italiano, il film è anche noto come caposcuola del genere caper movie. Si aggiudicò due Nastri d'argento e una candidatura ai premi Oscar 1959 come miglior film straniero. È stato successivamente inserito, come opera rappresentativa, nella lista dei 100 film italiani da salvare
L'idea di base del film e soprattutto il finale sono tratti dalla novella Furto in una pasticceria nell'antologia Ultimo viene il corvo di Italo Calvino.
Cosimo, piccolo ladro di periferia, è in prigione per il furto di una macchina. Alcuni suoi amici, Capannelle (un vecchio stalliere un po' matto), Mario (ladro suo malgrado), Ferribotte (un siciliano gelosissimo della sorella), Tiberio (fotografo e ladro per vocazione), decidono di cercare qualcuno che si accusi del furto per far scarcerare Cosimo. Trovano Peppe, un pugile di quart'ordine, che dietro compenso dichiara di essere il responsabile del furto. Peppe non viene creduto e viene rilasciato: prima di uscire di prigione, con uno stratagemma, si fa confidare da Cosimo il progetto di un furto con scasso. Riacquistata la libertà, Peppe si mette a capo della banda e, con l'aiuto degli amici, prepara l'esecuzione del colpo vagheggiato da Cosimo: svaligiare la cassaforte del Monte di Pietà. 
Per aprire la cassaforte prendono lezioni da uno specialista, Dante, che non può partecipare alla rapina perché sorvegliato. Tutto sembra bene avviato quando Cosimo, in seguito ad un'amnistia, viene scarcerato. Deciso a vendicarsi del tiro giocatogli da Peppe e dai compagni, mentre sta compiendo un borseggio viene investito e muore. Intanto è venuto il momento di tentare il furto: i quattro penetrano nell'appartamento contiguo al Monte di pietà. Ma, per inesperienza e paura non riescono a giungere alla cassaforte e avendo aperto un buco nella cucina, si consolano con uno spuntino.
"Questo film è significativo per la cura formale con la quale è realizzato, per l'uso intelligente degli attori professionisti e di tipi presi dal vero, per lo sforzo, che vi traspare chiaro, di portare il "comico" fuori dai confini consueti della farsa dialogata e per dargli una consistenza propriamente cinematografica". (Carlo Lizzani, "Il Cinema Italiano", Parenti, 1961) cinematografo
Ultimo viene il corvo
Ultimo viene il corvo è una raccolta racconti di Italo Calvino pubblicata la prima volta nel 1949. La raccolta prende il titolo da un racconto uscito per la prima volta sul quotidiano L'Unità il 5 gennaio 1947
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Il Dritto arrivò al posto convenuto e gli altri lo stavano aspettando già da un po’. C’erano tutt’e due: Gesubambino e Uora‐uora. C’era tanto silenzio che dalla via si sentivano suonare gli orologi nelle case: due colpi, bisognava sbrigarsi se non si voleva farsi cogliere dall’alba. ‐ Andiamo, ‐ disse il Dritto. ‐ Dov’è? ‐ chiesero. Il Dritto è uno che non spiega mai il colpo che ha intenzione di fare. ‐ Ora ci andiamo, ‐ rispose. E camminava in silenzio per le vie vuote come fiumi in secca, con la luna che li seguiva lungo i fili dei tram, il Dritto avanti con quei suoi occhi gialli mai fermi, e quel suo movimento alle narici che sembra che fiuti. Gesubambino lo chiamano così perché ha la testa grossa da neonato e il corpo tozzo; forse anche perché ha i capelli tagliati corti e un bel faccino coi baffetti neri. É tutto muscoli e si muove soffice che sembra un gatto; per arrampicarsi e raggomitolarsi non c’è nessuno come lui e quando il Dritto lo porta con sé c’è sempre una ragione. wikipedia

lunedì 21 dicembre 2020

The Commitments film diretto da Alan Parker, romanzo umoristico di Roddy Doyle

The Commitments è un film del 1991 diretto da Alan Parker, tratto dal romanzo del 1987 I Commitments di Roddy Doyle.
«Gli Irlandesi sono i più negri d'Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: "Sono un negro e me ne vanto!"»
(Jimmy Rabbitte parlando ai futuri membri del gruppo.)
Jimmy Rabbitte, giovane della classe operaia di Dublino, figlio d'un fanatico di Elvis, s'improvvisa manager del gruppo musicale "EEE" ("Vi ci vorrebbe una E" suggerisce sarcasticamente) composto da due amici, il bassista Derek e il chitarrista "Outspan" e un cantante/tastierista che Jimmy detesta. A un matrimonio incontra la bellissima voce d'un invitato, un controllore d'autobus di nome Declan "Deco" Cuffe, che si rivela particolarmente dotato. Jimmy decide che il gruppo suoni musica soul e, liquidato il cantante degli "EEE", inizia la ricerca di nuovi membri, improvvisando un'audizione in casa, che straborda d'aspiranti artisti; tra loro, si presenta un misterioso Joey "Labbra" Fagan, che afferma d'avere suonato coi più grandi della musica. Nonostante non riesca mai a provare la veridicità delle sue collaborazioni, nessuno riesce a trovare controprove, ed è lui a dare il nome "The Commitments" al gruppo. A loro s'uniscono il sassofonista Dean, il batterista Billy, il pianista Stephen e tre piacenti e dotate coriste, Bernie, Nathalie e Imelda. In occasione del primo concerto s'unisce a loro una "guardia del corpo", un certo Mickah Wallace, un pazzoide caratteriale.
I rapporti tra i membri del gruppo si rivelano contraddittori fin dall'inizio, tra simpatie e rivalità. È il caso di Billy e Deco, che non perdono occasione per lanciarsi frecciate; ad alimentare ciò s'aggiungono le scontrosità dei loro caratteri: Billy, per sua stessa ammissione, è in libertà vigilata dopo una rissa e Deco, oltre a dimostrarsi volgare e sboccato, non riscuote grandi simpatie, date le sue manie di protagonismo. Dopo i successi iniziali, la tensione tra i membri del gruppo sale sempre più, alimentata dalle loro gelosie e animosità, di pari passo alla fama raggiunta. Billy abbandona il gruppo e viene sostituito proprio da Mickah, le cui doti combattive si rivelano decisive in più occasioni, Joey "Labbra" ha doti di "stallone" che riversa sulle coriste innescando tra loro una gelosia fino ad allora inesistente o forse abilmente celata, Dean mostra troppo spesso il suo amore per il jazz contravvenendo alle regole di Jimmy che vuole il gruppo "a dieta stretta di soul" e, infine, Deco mostra insofferenza verso il gruppo e sembra volere intraprendere una carriera solista.
Premio per il miglior regista
I Commitments (titolo originale The Commitments ) è un romanzo umoristico di Roddy Doyle, pubblicato per la prima volta nel 1987, ed in Italia nel 1998 da Guanda. Si tratta del romanzo d'esordio dello scrittore irlandese, e diede il via alla cosiddetta Trilogia di Barrytown. Racconta la storia di una band di musica soul nella periferia nord di Dublino.
Il romanzo di Doyle ha la caratteristica di essere quasi completamente costituito da dialoghi e quasi nessuna descrizione, e fu proprio questo a colpire il regista, in particolare per l'utilizzo del linguaggio molto colorito. Un linguaggio che infatti è riportato nel film quasi parola per parola, con in più un fortissimo accento irlandese che rese difficile la comprensione al pubblico americano ma non per questo gli evitò il temuto "rated R".

venerdì 18 dicembre 2020

Le relazioni pericolose (Dangerous Liaisons) film diretto da Stephen Frears, tratto dal romanzo Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos

Le relazioni pericolose (Dangerous Liaisons) è un film del 1988, diretto da Stephen Frears, tratto dal romanzo Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos e dall'adattamento teatrale del romanzo ad opera di Christopher Hampton, sceneggiatore del film.
Glenn Close ricevette il plauso della critica internazionale e la sua performance è oggi ritenuta una delle migliori dell'epoca, in particolar modo la scena finale, col primo piano dell'attrice allo specchio, è stata definita "da antologia della storia del cinema" 
La bella marchesa di Merteuil spinge verso altre donne (da lei accortamente individuate) il suo ex-amante, il Visconte di Valmont, per vendicarsi della sua fuga. E' una sfida per tenere saldamente in pugno l'uomo che essa, pur dedita ad amori occasionali, ama ancora. Nelle reti del seduttore cadono, alternandosi, sia la quindicenne Cecile de Volanges, già promessa in matrimonio ad un gentiluomo che ha vent'anni più di lei, sia la graziosa Madame de Tourvel. La fanciulla insidiata cede alla fine, malgrado si sia innamorato di lei il giovanissimo Cavalier Danceny; più difficile, se non ardua, ma eccitante, l'impresa con Madame de Tourvel, decisa a non tradire il marito lontano, tutta pudori e lacrime, ma poi preda dell'incallito libertino. Dopo una serie di incontri e sotterfugi, di lettere misteriose e trappole, la Marchesa di Mertreuil si ritiene soddisfatta del procedere degli avvenimenti. Poi gli eventi precipitano: in duello, Danceny uccide Valmont; Cecile rientra nel convento in cui la madre l'aveva fatta educare; Madame de Tourvel cade gravemente malata per il dolore del tradimento di Valmont che diceva di amarla, mentre alla Marchesa non resta che qualche arida lacrima, oltre che il disprezzo di una società, corrotta come lei, ma pronta anche a respingerla per il suo spirito vendicativo. https://www.cinematografo.it/
Riconoscimenti 
Migliore regia a Stephen Frears
Nomination Miglior attore straniero a John Malkovich
Nomination Migliore fotografia a Philippe Rousselot
Nomination Migliore fotografia a Philippe Rousselot
Le relazioni pericolose (Les Liaisons dangereuses) è un romanzo epistolare di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos del 1782. Il romanzo narra le avventure di due libertini appartenenti alla nobiltà francese del diciottesimo secolo, ed è considerato uno dei capolavori della letteratura francese.
Il visconte di Valmont, cinico seduttore, ha deciso di conquistare la castissima Madame de Tourvel. Confida il suo progetto alla marchesa de Merteuil, sua ex amante e sfrenata libertina. Sarà lei a guidare a distanza le avventure di Valmont, imponendogli di rispettare il codice libertino. Gli consiglia innanzitutto di conquistare la timida Cécile de Volanges, appena uscita di convento e promessa a un uomo di cui la marchesa si vuole vendicare.
Cécile si innamora del giovane Danceny, e Valmont riesce a sedurla ponendosi come intermediario tra lei ed il giovane.
Grazie ad alcuni stratagemmi il visconte vince anche le resistenze di M.me de Tourvel riuscendo a possederla anche carnalmente; ciò nonostante la marchesa lo obbliga a rompere quest'ultima relazione. Valmont scrive una lettera di rottura a M.me de Tourvel nella speranza, che risulterà vana, di riottenere i favori della sua ex amante. La lotta fra i due libertini è ormai inevitabile e la marchesa rivela a Danceny la relazione fra Valmont e Cécile
Nel 2019 è andato in scena, all'Aja, per opera2day, una versione operistica delle Liaisons Dangereuses, con titolo inglese “Dangerous Liaisons”. L’idea è stata di Serge van Vaggel che, oltre a curare la regia, ha selezionato le arie scegliendo tra le più famose pagine musicali di Vivaldi, il restante della parte musicale è stato affidato a Vanni Moretto che ha composto i recitativi collegandoli magistralmente alla musica già esistente. Il libretto Italiano è stato scritto da Stefano Simone Pintor, il direttore musicale è stato Hernàn Schvartzman, la Marchesa di Merteuille è stata interpretata dal contralto napoletano Candida Guida.

lunedì 14 dicembre 2020

Tutti gli uomini del re (All the King's Men) film diretto da Steven Zaillian.

L'opera è tratta dall'omonimo romanzo di Robert Penn Warren ispirato alla carriera di Huey Pierce Long, governatore della Louisiana, pubblicato nel 1946 e vincitore del premio Pulitzer.
È il remake della pellicola Tutti gli uomini del re, realizzata da Robert Rossen nel 1949.
Louisiana, fine anni 40. Willie Stark è venditore a domicilio nella cittadina di Mason City, dove svolge anche attivismo politico per il Partito Democratico come tesoriere cittadino. Opponendosi alla costruzione di una scuola da parte di una compagnia che sfrutta dipendenti afroamericani sottopagati, che ha vinto l'appalto con la corruzione, si dimette da tesoriere. Qualche tempo dopo, quando la scuola crolla uccidendo 3 bambini, Tiny Duffy, il portaborse del governatore democratico Joe Harrison, convince Stark a candidarsi come governatore. Jack Burden, un cinico giornalista locale, sa bene che Stark è una pedina di Harrison, che vuole utilizzarlo per sottrarre voti al repubblicano McMurphy. Capito il vile gioco politico, Stark umilia Duffy durante un comizio, candidandosi come indipendente populista, riuscendo a vincere le elezioni governatoriali. Tuttavia, è costretto a scegliere Duffy come vice-governatore (avendo corso da solo alle elezioni) e Sadie Burke come stratega politica. Anche Burden viene assunto come addetto stampa, essendo stato licenziato suo giornale, politicamente pro-Harrison, per aver scritto articoli su Stark.
Per più di 3 anni Stark riesce a mantenere il potere, fomentando la lotta contro "i potenti", ovvero banchieri e magnati petroliferi che operano nello stato, aumentando le tassazioni a livelli vertiginosi per finanziare i programmi che aveva promesso. Questo però causa una fuga di capitali dallo stato, con un conseguente impoverimento dei cittadini, che tuttavia continuano a sostenere Stark. Quest'ultimo è oramai ben distante dallo Stark di un tempo: infatti, ha accettato arroganza e corruzione politica, che afferma di voler usare per aiutare il popolo, e da astemio cattolico è diventato un forte bevitore e donnaiolo. 
Questo gli attira lo sfavore del giudice Irwin, padrino e mentore di Burden, che appoggia l'impeachment che i senatori statali conservatori hanno posto contro Stark. Questi allora incarica Burden di indagare sul passato di Irwin, che risulta a tutti come un influente "uomo pulito", mentre inizia una relazione amorosa con Anne Stanton, figlia del defunto popolare governatore Stanton ed ex-fiamma di Burden.
Lo scopo di Stark è infatti utilizzare Anne per convincere suo fratello Adam ad accettare di gestire un nuovo ospedale in costruzione, così da portare alcuni senatori dalla sua parte lustrando il suo nome.
Tutti gli uomini del re Robert Penn Warren
Traduttore: M. Martino
Editore: Feltrinelli
Anno edizione: 2014
In commercio dal: 9 luglio 2014
Pagine: 570 p., Brossura
EAN: 9788807041068
Anni trenta. Willie Talos, un giovane di origini contadine, diventa quasi per caso governatore di un non nominato stato del Sud e promulga una serie di riforme populiste che migliorano le condizioni di vita delle classi disagiate. A narrare la vicenda è il giornalista Jack Burden che, affascinato dalla personalità di Talos e vittima del senso di colpa per le sue origini aristocratiche, ne diviene il più fedele e spregiudicato collaboratore. Il tragico evolversi dei fatti porta Burden a mettere in discussione la sua convinzione che nessuno può essere considerato responsabile per le conseguenze di un'azione nel caotico dispiegarsi della storia.

martedì 8 dicembre 2020

Treno di notte per Lisbona (Night Train to Lisbon) film diretto da Bille August dall'omonimo romanzo scritto da Pascal Mercier

Treno di notte per Lisbona (Night Train to Lisbon) è un film del 2013 diretto da Bille August e con protagonisti Jeremy Irons, Mélanie Laurent, Jack Huston, Martina Gedeck, Bruno Ganz e Christopher Lee. Il film è basato sull'omonimo romanzo scritto da Pascal Mercier nel 2004.
Raimund Gregorius (Jeremy Irons) è professore di latino in un liceo di Berna e la sua vita monotona e solitaria è tutta incentrata sulla scuola e le sue solitarie partite a scacchi. Andando un giorno a scuola, vede una ragazza che si sta buttando dal ponte e la salva. La ragazza poi sparisce lasciandogli il suo soprabito e dentro una tasca Raimund trova il libro di Amadeu Prado, un dottore portoghese, rivoluzionario e filosofo e un biglietto per Lisbona. Dopo aver letto alcune pagine del libro, ha una irrefrenabile desiderio di partire per Lisbona e prende il treno. Vuole scoprire chi è l'autore di quel libro che tanto sente vicino ai suoi pensieri. Parte così l'avventura di Raimund che scoprirà man mano tutti i personaggi di una vecchia storia ambientata sotto la dittatura di Salazar.
Treno di notte per Lisbona è un romanzo scritto dal filosofo svizzero Peter Bieri con lo pseudonimo di Pascal Mercier.
Un giorno come tanti in cui si reca al lavoro nel liceo di Berna dove insegna latino, il prof. Gregorius s'imbatte in una donna che getta una lettera dal ponte sul fiume. Credendo voglia suicidarsi, Gregorius si ferma, ma lei gli parla in portoghese e gli scrive sulla fronte un numero di telefono con un pennarello per non dimenticarlo. Da questo momento la vita di Gregorius è sconvolta, come se in lui fosse scattato un interruttore; si reca in una biblioteca specializzata dove acquista un libro in portoghese, scritto da un certo Amadeu de Prado.
Improvvisamente decide di partire in treno per Lisbona, abbandonando tutta la propria vita, la scuola e i suoi studenti. Durante il viaggio cerca di leggere, con l'aiuto d'un dizionario, il libro di Prado che contiene le sue profonde riflessioni sulla vita:
«Non vorrei vivere in un mondo senza cattedrali. Ho bisogno della loro bellezza e della loro sublimità. Ne ho bisogno di contro alla piattezza del mondo. Voglio lasciarmi avvolgere dalla pungente frescura delle chiese. Ho bisogno del loro silenzio imperioso. Ne ho bisogno di contro alle insulse urla da caserma e alle spiritosaggini dei fiancheggiatori del regime. Voglio sentire lo scroscio dell’organo, questo diluvio di suoni ultraterreni. Ne ho bisogno di contro alle stridule, ridicole marcette militari.»
(Amadeu de Prado, nota scritta all'età di 17 anni)
Treno di notte per Lisbona. 
Traduttore: Elena Broseghini
Editore: Mondadori
Collana: Oscar 451
Anno edizione: 2017
Formato: Tascabile
In commercio dal: 10 novembre 2017
Pagine: 431 p.
EAN: 9788804685357